giovedì 6 agosto 2009
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Va decisamente con­trocorrente, l’econo­mista barese Gian­franco Viesti. Pensa che il Mezzogiorno sia lo specchio del Belpaese e che lo studio di Bankitalia sulle differenze di prezzi tra Nord e Sud sia di alta qualità, ma i dati sono criticabili. Come giudica l’indagine sul costo della vita della Banca d’Italia? Ottima qualità. Ma da non prendere acriticamente. Nel merito, parte da due assun­ti di fondo. Il primo è com­plesso e cruciale. Considera incluso nel costo della vita il prezzo dell’acquisto della casa. Dato che i prezzi delle abitazioni sono molto diver­si nel Paese, calcola la diffe­renza del costo della vita at­torno al 16%. Invece tale co­sto, al netto del mutuo che u­no stipula per acquistare u­na casa, si riduce alla metà, attorno all’otto per cento, dato per me ragionevole. Secondo assunto? Non parla di qualità. I prez­zi suppongono che beni e servizi acquistati siano i­dentici. Questo vale se ac­quistiamo un maglione o un elettrodomestico, se invece parliamo di sanità o trasporti non è detto che la qualità dei servizi sia identica. Il bigliet­to dell’autobus a Bari costa meno che a Milano perché la qualità del servizio è peg­giore. Cosa determina la differen­za del costo di un apparta­mento tra nord e sud Italia? Il prezzo di mercato incor­pora la minore qualità di vi­ta e dell’ambiente. A Catan­zaro si paga meno che a Mantova perché la città ca­labrese offre meno opportu­nità lavorative, servizi e cul­tura rispetto a quella virgi­liana. Servono le gabbie salariali?Autorevoli commentatori continuano chiedere la dif­ferenziazione salariale, di­menticando che è già avve­nuta. Negli ultimi 10 anni i salari reali al Sud sono rima­sti infatti quasi fermi, men­tre al nord sono cresciuti un poco ogni anno, creando u­na differenza salariale. Se og­gi prendiamo due persone dello stesso sesso, età, livel­lo di formazione e con la stessa mansione, quella del sud percepisce il 15% in me­no. Per quale meccanismo? Al Sud non è mai decollata la contrattazione decentrata. La Banca d’Italia ha prodot­to recentemente un altro studio che confronta i salari a partire dal 1993, anno di partenza della contrattazio­ne decentrata. Bene, le im­prese del Nord, più grandi e produttive, riescono a paga­re la contrattazione azien­dale e i superminimi indivi­duali. A me sembra una dif­ferenza che sta nei fatti, fi­glia della diversa produtti­vità delle imprese. Nel 1995 è stato tolto l’incentivo alle aziende per la fiscalizzazio­ne degli oneri sociali, in ba­se al quale le aziende del Mezzogiorno pagavano me­no contributi. Questo ha fat­to sì che il sistema meridio­nale si aggiustasse pagando meno i salari. Mi stupisce però l’assenza di questo da­to di fatto nella discussione pubblica. Come si supera il divario e­conomico tra le due Italie? Aumentando la produttività che è ferma in Italia. I livelli produttivi sono più bassi al sud, ma la dinamica, cioè quanto è successo negli ul­timi 10 anni, è identica. Non possiamo fare nulla di più per rendere più flessibile il mercato del lavoro. E la fi­scalità di vantaggio per il Mezzogiorno è sbagliata perché significa far pagare ai contribuenti di tutto il pae­se le tasse per le imprese del Sud. Allora bisogna aumen­tare la produttività. Da cosa dipende tale au­mento? Da quel che succede dentro le imprese, che dovrebbero crescere ed essere più capi­talizzate, innovare e assu­mere personale qualificato. E poi da quello che c’è fuori dalla porta della fabbrica: trasporti, comunicazioni, servizi, sicurezza, energia, scuola e università. I dati sul­la produttività ferma segna­lano che il sistema Italia ha bisogno di una manuten­zione straordinaria. La questione meridionale torna in prima pagina. Bene, ne è stata assente a lungo. Ma prevale a Nord e a Sud una comunicazione gri­data a scapito della qualità dell’informazione. Il Mezzo­giorno fa passi avanti quan­do si ragiona con pacatezza.
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