sabato 15 luglio 2023
Le maggiori opportunità nel fotovoltaico: progettisti elettrici, project manager e permitting manager. E nella consulenza: data scientist, business process analyst, machine learning engineer
Molto richiesti gli ingegneri

Molto richiesti gli ingegneri - Ingenn

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Transizione energetica, decarbonizzazione, discontinuità tecnologiche e Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza sono tra le sfide che in questi mesi le aziende si troveranno ad affrontare. Ed è in questo contesto che le società di consulenza avranno il compito di trasformare in successo ciò che sta avvenendo anche a livello internazionale. Oggi le opportunità per le società che operano nel settore energetico – e che abbiano concretamente nella gestione dell’energia una parte importante dei propri affari – sono molteplici e, se ben direzionate, possono permettere una forte diversificazione e allo stesso modo la possibilità di cavalcare positivamente un momento di mercato molto intenso. La crescita quasi esponenziale del settore delle energie rinnovabili (eolico e fotovoltaico), per esempio, necessita di un sistema di stoccaggio dell’energia prodotta per poter bilanciare i picchi e le carenze di produzione immagazzinando l’elettricità e per renderla disponibile quando c’è maggiore necessità. I sistemi di stoccaggio più diffusi stanno attraversando una vera e propria rivoluzione, dal punto di vista della tecnologia, dei materiali e dell’efficienza per creare un prodotto sempre più sostenibile. Mentre nel settore fotovoltaico si prevedono da 25mila a 300mila professionisti da qui al 2030. Coprire questo divario non sarà semplice, soprattutto perché in questo momento mancano professionisti e competenze. Le aziende cercano: progettisti elettrici, project manager e permitting manager. Oltre a figure legate alla consulenza: data scientist, business process analyst, machine learning engineer. E allo storage: il firmware engineer e il sale engineer.

Progettista elettrico. Si tratta di un professionista laureato in Ingegneria elettrica, con un forte focus su tutto ciò che concerne lo sviluppo della commessa a livello tecnico. Il progettista elettrico in questo momento è uno dei professionisti più richiesti sul mercato: il suo compito è quello di progettare, disegnare e collaudare gli impianti elettrici. Generalmente partecipa anche ai sopralluoghi, al fine di verificare la struttura in cui verrà inserito l’impianto, le esigenze tecniche ed eventuali modifiche che dovranno essere apportate. Il suo compenso può variare dai 30mila ai 35mila euro lordi annui per figure più junior, fino ad arrivare a 65mila-70mila euro per responsabili di team.

Project manager. Si occupa di seguire e coordinare la commessa dal suo avvio fino alla sua realizzazione. Il suo ruolo, per lo più gestionale, prevede il confronto con tutti gli stakeholder interni ed esterni del progetto. Questo professionista, inoltre, segue la pianificazione, l’esecuzione, il controllo e la chiusura della commessa. La sua formazione è tecnica, con un background anche di progettazione, che gli permette di facilitare la comunicazione e la supervisione degli aspetti progettuali. Molto apprezzate, inoltre, solide competenze in ambito economico, utili per la gestione finanziaria dei progetti. In questo caso, trattandosi spesso di figure che iniziano a ricoprire questo ruolo avendo alle spalle già un’esperienza nel mondo del lavoro, il compenso annuo si aggira tra i 35mila–40mila euro per profili più junior, fino ad arrivare a 65mila – 80mila euro per responsabili di grosse commesse.

Permitting manager. È un professionista che si occupa di seguire e richiedere agli enti preposti tutte le autorizzazioni necessarie per la costruzione degli impianti. Questa figura, spesso, può coincidere o nascere dalla fase di origination, ossia la ricerca dei terreni sui quali costruire e l’eventuale contrattazione per acquisirli. Deve possedere spiccate capacità economiche e progettuali per comprendere fin da subito quanto sia “sfruttabile” un determinato terreno e per valutare l’investimento effettuato e il suo ritorno economico. Il permitting manager si occupa anche della valutazione dei vincoli ambientali, territoriali e settoriali rilevanti e della valutazione e mappatura tematica degli aspetti fisici e ambientali. Il suo background può variare dalla laurea in Ingegneria o in Geologia, ma può anche trattarsi di un profilo economico che poi andrà a integrare la sua formazione con un’esperienza più tecnica. Il compenso può variare dai 30mila–37mila euro fino ad arrivare a 50mila–60mila euro.

Data scientist. È una delle figure più innovative ed interessanti sul mercato del lavoro da qualche anno; ha, infatti, un ruolo cruciale all’interno delle società di consulenza e specularmente nelle aziende energetiche. Si occupa di analizzare e organizzare i dati e di estrapolare i trend di scenario che abbiano fondamenti reali. Questo professionista ha, solitamente, una laurea in ingegneria, informatica, economia, matematica, statistica, business administration e data science. Le retribuzioni annue spaziano tra i 40mila euro lordi di un profilo con 2-3 anni di esperienza e i 65mila di una figura senior.

Business process analyst. Assume un ruolo centrale nell’identificazione dell’esigenze dell’azienda, in termini di attività da realizzare per ottimizzare la propria presenza sul mercato, mappando e descrivendo tutti i processi necessari per lo sviluppo del business e riducendo i colli di bottiglia. Solitamente ha completato un percorso di studi in ingegneria ed economia e ha spiccate competenze in business management. La forbice retributiva è compresa tra i 45mila euro annui lordi per un profilo junior e i 70mila euro per coloro che hanno alle spalle carriere più lunghe.

Machine learning engineer. Si occupa dello sviluppo di dashboard, della creazione di algoritmi di machine learning per analisi avanzate, dello sviluppo di database e framework di supporto ai task analitici, dell’analisi di fattibilità dei progetti di integrazione di nuovi dati/tecnologie per identificare soluzione applicative. Questo profilo ha tipicamente una laurea in informatica, in ingegneria informatica o in altre discipline tecnico/scientifiche (come ad esempio matematica e fisica) e ha esperienza in ambito di digital analytics e/o data science. Deve avere un’ottima capacità nello sviluppo di soluzioni di machine learning attraverso la progettazione e il test di diversi approcci al problema e deve conoscere almeno un linguaggio tra Java, Python e Scala. Per i profili junior la retribuzione annua lorda si attesta sui 35mila euro e per i profili senior, invece, parte dai 50mila euro a salire.

Invece due sono le figure professionali più ricercate nel settore dello storage: il firmware engineer e il sales engineer.
Firmware engineer. È responsabile dello sviluppo e del miglioramento del software per sistemi embedded e tipicamente si occupa di sviluppare e migliorare il software embedded per il sistema di gestione del prodotto, il firmware per sistemi a microprocessore e l’interfaccia di comunicazione. Redige, inoltre, la documentazione tecnica. In genere è un ingegnere con specializzazione elettronica, anche se non mancano gli informatici. Proviene dal settore energy etorage e ha maturato esperienza pregressa nella progettazione di circuiti elettronici complessi. Deve, ovviamente avere un’ottima conoscenza del quadro normativo (Iso 26262 e Iec 61508) e di C++, Matlab, Labview, Altium, Python e IARi. La retribuzione media si aggira tra i 45mila e i 55mila lordi annui.

Sales engineer. Riporta solitamente al sale manager e si occupa di consolidare i rapporti commerciali con i clienti, monitorare l’andamento e instaurare nuove relazioni commerciali con prospect e di sviluppare strategie di marketing in collaborazione con la direzione commerciale e redigere il budget annuale di vendita. Anche questo professionista possiede generalmente un background tecnico e spesso ha conseguito una laurea in ingegneria elettronica o elettrica. Ha maturato un'esperienza di almeno cinque anni nel settore tecnologie di accumulo di energia o nel mercato dell'automazione industriale con comprovata conoscenza dell'elettronica di base. La retribuzione media si aggira tra i 50mila e i 60mila euro lordi annui, a cui si può aggiungere anche una componente variabile.

Un master per formare sulla sostenibilità

Tre Zeta Group scende in campo per la formazione e collabora con Masoni Consulting, portando l’esperienza dei suoi professionisti e la visione aziendale sulla sostenibilità ai manager di domani. Il Gruppo sostiene infatti il nuovo master Nuove competenze per la sostenibilità nel settore industriale che prenderà il via a ottobre 2023. Il corso di formazione, on line e dalla durata di 80 ore, è ideato da Masoni Consulting per i giovani neolaureati in discipline scientifiche che hanno il desiderio di intraprendere un percorso di lavoro nel mondo della sostenibilità. Il master, che approfondisce i tre pilastri Environment, Social, Governance, con un focus particolare sui settori Leather & Luxury e Tessile, fiori all’occhiello del tessuto economico toscano, ha l’obiettivo di fornire ai partecipanti le conoscenze per diventare Sustainability Pro, la risorsa in grado di sviluppare, implementare, monitorare e aggiornare il piano strategico di sostenibilità delle aziende. Tre Zeta Group, in qualità di partner del master, contribuisce alle 12 borse di studio che finanziano interamente la partecipazione dei candidati, e darà la possibilità a uno studente di entrare in azienda attraverso uno stage formativo da 160 ore con cui mettere in pratica le conoscenze acquisite. Il Gruppo, inoltre, durante le lezioni porterà agli studenti l’esperienza diretta dei suoi professionisti nella creazione di un piano di sostenibilità e nello sviluppo di prodotti e di soluzioni in grado di minimizzare l’impatto delle attività aziendali sull’ambiente. Per candidarsi: Partecipa al master gratuito e diventa Sustainability Pro.


Come attirare i profili qualificati in azienda

Il comparto manifatturiero e della produzione industriale rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell'economia nazionale. Gli ottimi risultati che l'Italia detiene in questo settore garantiscono al nostro Paese una forte presenza sul mercato mondiale e lo collocano tra le maggiori potenze industriali europee. Nonostante le difficoltà geopolitiche che hanno travolto la maggior parte delle economie mondiali nel corso del 2022, l’industria italiana è riuscita a mostrare una grande resilienza. Come sottolineato anche dal rapporto di previsione L’economia italiana tra rialzo dei tassi e inflazione alta – pubblicato dal Centro Studi di Confindustria – la solidità delle pmi, una base manifatturiera rafforzata e una vasta diversificazione nei prodotti e lungo le filiere di produzione hanno consentito all’industria italiana di arginare tali difficoltà e di ottenere comunque una straordinaria performance in termini economici. I risultati positivi del comparto manifatturiero e della produzione industriale si scontrano però con un un fenomeno che assume contorni sempre più rilevanti: il mismatch tra domanda e offerta di lavoro che si verifica nel settore a causa della carenza di personale qualificato. Secondo le stime del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, infatti, la difficoltà di reperimento sperimentata dalle aziende si attesta – per il trimestre aprile-giugno – al 45,2% delle assunzioni programmate. In tale contesto, ricercare personale qualificato in campo Engineering & Manufacturing diventa una vera e propria sfida per le imprese. A tal fine, Ingenn, la società focalizzata nella ricerca e selezione di profili tecnici e ingegneri, ha pubblicato una guida utile a comprendere le aspettative di tali figure in termini di carriera, retribuzione e vantaggi. Attraverso un sondaggio somministrato a 80 professionisti, è stato ricostruito il candidate journey dei profili tecnici e ingegneri impegnati attivamente nella ricerca di lavoro. Il report Profili tecnici e ingegneri: come attirarli in azienda? è scaricabile gratuitamente qui.

La filiera dell'idrogeno

Una strategia condivisa e supportata a livello istituzionale per rendere l’Italia leader a livello internazionale nel settore idrogeno. È questa la richiesta unanime dei protagonisti del comparto, emersa in occasione del primo Italian Hydrogen Summit, l’evento organizzato da H2IT, Associazione Italiana Idrogeno, che ha riunito istituzioni nazionali ed europee, aziende, esperti e operatori del settore. Al centro dell’incontro, l’enorme potenziale del vettore idrogeno, il quale oltre agli investimenti in continua crescita dei privati -attualmente rappresentano la parte trainante-, può contare sui 3,64 miliardi di euro destinati dal Pnrr allo sviluppo del settore. Ridurre del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030 e raggiungere il net-zero entro il 2050. Con il Green Deal, l’Unione Europea ha posto obiettivi di transizione energetica molto ambiziosi, che richiedono una trasformazione in senso green della mobilità, puntando su alimentazioni alternative come l’idrogeno. Su questo fronte, l’Italia ha da poco mosso i primi passi, grazie all’approvazione da parte del MIT di 36 progetti di stazioni di rifornimento a idrogeno sul territorio nazionale, per un investimento totale di 103,5 milioni di euro. Ma quali sono lo scenario, il quadro normativo e lo stato dell’arte tecnologico della mobilità italiana idrogeno con riferimento al trasporto stradale (pesante e leggero), ferroviario e in ambito portuale? Per rispondere a queste domande e costruire una visione strategica sull’implementazione della rete di stazioni di rifornimento a idrogeno in Italia, H2IT - Associazione italiana idrogeno - che rappresenta grandi, medie e piccole imprese, centri di ricerca e Università che lavorano nel settore – ha divulgato il report Sviluppo di Stazioni di rifornimento idrogeno – Barriere normative e scenari di implementazione. Nel corso degli ultimi anni, il numero dei mezzi di trasporto alimentati ad idrogeno è cresciuto notevolmente sia nel trasporto stradale che ferroviario. In Europa, il trend positivo del 2020 è proseguito anche nel 2021, con un aumento delle nuove immatricolazioni di veicoli a idrogeno del +22% rispetto al 2020. Spicca la Germania, che ha registrato un +70%, seguita da Paesi Bassi e Svizzera. A livello globale, i maggiori produttori di auto idrogeno sono Corea del Sud e Giappone. In Italia, la mancanza di una rete di stazioni di rifornimento adeguata ha limitato fortemente la crescita del mercato. Proprio per questo, all’interno dei 3,64 miliardi previsti per la filiera idrogeno nel Pnrr, 530 milioni di euro sono dedicati a sostenere la costruzione di stazioni per il trasporto stradale (230 milioni, 40 stazioni) e ferroviario (300 milioni per dieci stazioni) entro il 2026. In particolare, per il trasporto stradale pesante, come specificato nelle Linee Guida Preliminari della Strategia Italiana Idrogeno, l’obiettivo è rendere il 2% della flotta nazionale di camion a lungo raggio alimentato a idrogeno al 2030, spianando così la strada anche allo sviluppo della mobilità leggera a idrogeno. Nel ferroviario, invece, l’idrogeno può supportare l’obiettivo di rendere indipendenti da combustibili fossili le linee non elettrificate (circa il 30%, 4.670 km). Si tratta di target che richiedono investimenti pubblici, ma anche investimenti privati da parte delle aziende, che però subiscono troppe battute d’arresto a causa anche di regolamenti limitanti. È evidente, dunque, la necessità di un quadro normativo abilitante che incoraggi le aziende a puntare sul settore. A oggi, la normativa italiana è particolarmente stringente, a differenza di altri Paesi a cui l’Italia potrebbe allinearsi al fine di ottenere tempistiche autorizzative più brevi e far partire i progetti. Rispetto a Paesi come la Germania, che ha sviluppato con una logica a perdita di mercato una rete di 100 stazioni di rifornimento idrogeno, l’Italia è dunque indietro. Può, però, trasformare questa situazione di svantaggio e rincorsa degli obiettivi europei – che sarà obbligata a recepire – in un’opportunità. Sarà necessario avere una strategia molto chiara per lo sviluppo delle infrastrutture che tenga conto di molti fattori, sfruttando la cornice dell’UE e abilitando così anche altri settori dove l’idrogeno risulta chiave per la decarbonizzazione. Le parole dei manager e degli esperti intervenuti confluiscono tutte in un unico messaggio: l’idrogeno è una delle opzioni fondamentali per la decarbonizzazione di tanti settori, dalla mobilità, all’industria, fino alle infrastrutture. Rappresenta un’opportunità unica per l’Italia sia sotto il profilo economico che sotto quello della sicurezza e della transizione energetiche su cui il nostro Paese punta con decisione. Occorre però una visione unica, una vera e propria strategia che possa consolidare l’attuale fase di sviluppo di progetti idrogeno, permettendo alle aziende di operare in un quadro più sicuro che non metta a rischio gli investimenti fatti e ne abiliti di nuovi. “Investimenti” è una delle parole chiave per il futuro di questo settore energetico. Lo dimostrano anche i dati della seconda edizione dell’Osservatorio H2IT: I numeri sul comparto idrogeno italiano, con il settore privato chiamato a svolgere un ruolo trainante per la crescita. Il 65% delle aziende ha registrato un aumento negli investimenti sull'idrogeno nel 2022 e la stragrande maggioranza di essi (70%) proviene da risorse interne delle stesse aziende. Le risorse investite danno, in molti casi, vita a innovazioni tecnologiche concrete. È proprio la mancanza di un quadro normativo chiaro (78%) che mette in difficoltà le imprese, tanto che il 55% indica come prioritario la messa a punto di una strategia nazionale (55%). Per lo sviluppo di una mobilità a idrogeno si conferma l’importanza delle Hydrogen Valley, centri di produzione e consumo di idrogeno rinnovabile in grado di abilitare gli usi finali. Ammontano a 500 i milioni di euro stanziati per questi progetti attraverso il Pnrr che giocano un ruolo chiave nell’avvio di un mercato dell’idrogeno. I progetti vincitori del bando sono in totale 54, con un grande protagonismo del Mezzogiorno, dove è destinato il 50% dei fondi. L’alto numero di proposte progettuali approvate (di cui molte non sono state finanziate per mancanza di fondi) dimostra la capacità della filiera di rispondere alle esigenze nazionali con progetti ad alto contenuto tecnologico e innovativo. Nell’ottica di un ampliamento di questi progetti, è fondamentale il rafforzamento delle competenze degli enti territoriali e la semplificazione dei percorsi autorizzativi. Infine, affinché possa svilupparsi una mobilità idrogeno in tutte le tipologie, trasporto stradale, ferroviari nonché marittimo sarà imprescindibile un piano di sviluppo di una rete di stazioni di rifornimento di idrogeno,) e l’incentivo all’acquisto di mezzi a zero emissioni, come i veicoli a idrogeno.

Nasce l'Osservatorio Tres-Transizione energetica sostenibile

«La transizione energetica è un ineludibile passaggio al futuro e al contempo una straordinaria opportunità di proteggere il pianeta e il lavoro, accompagnando il cambiamento e non subendolo. Per questo abbiamo fortemente voluto la nascita dell’Osservatorio TRansizione Energetica Sostenibile. Tres avrà lo scopo di monitorare tecnologie e normative, nazionali e comunitarie, connesse al Piano Industriale Verde dell’Unione Europea. Interverremo sull’aggiornamento del Pniec e del Pnrr, raccoglieremo i contributi dei diversi territori e dei tanti settori che seguiamo come sindacato. Sul nostro tavolo ci sono temi come la filiera dei nuovi combustibili, dai bio agli e-fuels fino all’idrogeno. Faremo sintesi per valutare le ricadute e orientare gli impatti sul mondo del lavoro, connessi alla Green Economy». Così la segretaria generale della Femca Nora Garofalo, in occasione della presentazione del nuovo organismo, promosso dalla Federazione Cisl che si occupa di Energia, Moda e Chimico-Farmaceutico. «La transizione energetica sostenibile, nonché quella industriale verde – prosegue la responsabile dell’organizzazione - richiederà necessariamente processi di trasformazione, innovazione e digitalizzazione lunghi e complessi, che agiranno su cinque dimensioni: sicurezza ed efficienza energetica, decarbonizzazione, mercato interno e ricerca/innovazione. Gli effetti sociali, non trascurabili, dovranno essere ammortizzati opportunamente e non potranno, in ogni caso, scaricarsi sui lavoratori e sui più deboli, già colpiti duramente dal Covid, dagli effetti della crisi energetica, dall’emergenza della guerra in Ucraina e dall’inflazione. Il nostro progetto vede una presenza sempre più attiva e proattiva delle persone sul loro luogo di lavoro, in linea con l’obiettivo Cisl di dare piena applicazione all’art. 46 della Costituzione, che sancisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende. Anche con l’Osservatorio Tres si sostiene la proposta di legge confederale sulla partecipazione alla governance delle imprese». «Come Femca – dichiara Sebastiano Tripoli, segretario nazionale Femca Comparto Energia – siamo convinti che il nuovo equilibrio, previsto dall’articolato sistema regolatorio del Green Deal Ue, potrà dispiegarsi positivamente solamente se riuscirà a diventare socialmente desiderabile, dal punto di vista economico e valoriale, per i cittadini e i lavoratori. Bisogna ricomporre, con la spinta gentile del dialogo costruttivo e il confronto aperto e chiaro, le diverse opzioni in campo, cercando di arginare la “nuova frattura ideologica” che si è aperta tra progressisti e conservatori nella UE, sui tempi e le misure degli interventi previsti nelle politiche di salvaguardia e adattamento al cambiamento climatico. Ribadiamo, a questo proposito, che il dispiegamento della transizione verde debba avvenire con gradualità e flessibilità, ma anche con la determinazione necessaria per perseguire l’obiettivo strategico di aumento massivo delle energie rinnovabili. Un traguardo necessario alla sicurezza e all’economia degli approvvigionamenti energetici nell’Unione Europea e in particolare in Italia, terra in cui la ricerca sui bio-combustibili è assai avanzata». «Il riferimento – afferma Costantino Lato, coordinatore di Tres - è l’obiettivo 8 dell’Agenda Onu al 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che prevede di incentivare una crescita economica duratura e inclusiva, un’occupazione piena, produttiva e dignitosa per tutti. Gli investimenti, vincolati alla creazione di nuove occasioni di lavoro o reimpiego di qualità, dovranno redistribuire il valore creato, anche alle persone coinvolte nel percorso di transizione. Il nostro orientamento operativo resta il Manifesto Lavoro ed energia per una transizione sostenibile, sviluppato alla fine del 2021 da Confindustria Energia in collaborazione con Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Flaei-Cisl e Uiltec-Uil. Tra gli obiettivi, anche la ripresa del Tavolo strategico congiunto Confindustria Energia-Sindacati Confederali, per aggiornare il documento».

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