martedì 31 ottobre 2023
Le piccole somme di denaro, così come i primi stipendi, sono importanti. Ma hanno bisogno di essere accompagnati da un lavoro di formazione sul valore e il senso del denaro e del lavoro
La paghetta non è sempre un bene

La paghetta non è sempre un bene - IMAGOECONOMICA

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Dare la paghetta ai propri figli è un buon modo di contribuire alla loro educazione finanziaria. Gli esperti di risparmio lo ripetono da anni: quando ricevono regolarmente dai genitori una piccola somma di denaro, anche molto ridotta, i bambini già a sette o otto anni possono iniziare a padroneggiare i concetti di moneta, spesa e risparmio.

L’esperienza della paghetta non farà di loro adulti ricchi, ma può avviarli lungo un percorso che porta a fare scelte finanziarie consapevoli nel corso della propria vita. Se riusciranno a diventare cittadini con competenze finanziarie accettabili, in grado di capire come funziona un mutuo o valutare la rischiosità di un investimento, avranno già una preparazione ben superiore alla media nazionale, a giudicare dagli esiti delle indagini pubblicate nel mese dell’educazione finanziaria, che si conclude oggi.

Ma ci sono adolescenti che usano i soldi della paghetta per fare scommesse o comprare “gratta e vinci”, ci dicono gli studi di cui Avvenire ha dato conto in questi giorni. Così come ci sono post-adolescenti con stipendi veri e più che abbondanti – come i calciatori travolti dall’ultimo scandalo scommesse – capaci di diventare comunque ventenni con seri problemi finanziari (e ora anche professionali).

Ragazzi e ragazze per i quali avere meno soldi a disposizione sarebbe stato meglio. Più educativo. Sta proprio lì il senso dell’educazione finanziaria. La paghetta, così come i primi stipendi, può essere educativa, ma non da sola. Ha bisogno di essere accompagnata da un lavoro di formazione sul valore e il senso del denaro e del lavoro, sul perché può essere giusto o sbagliato fare un investimento, sui motivi per cui può essere utile accantonare una certa somma per un determinato obiettivo.

Senza queste competenze, nemmeno stipendi a cinque zeri possono mettere una persona al sicuro dal rischio di bancarotta personale (uno stracitato studio americano di qualche anno fa ha rivelato che il 78% degli ex giocatori di football della Nfl finisce in dissesto economico entro due anni dal ritiro). Racconta il manager di una grande società di gestione di grandi patrimoni che alcuni clienti sono preoccupati perché i figli adolescenti si sono messi a giocare con le criptovalute e rischiano di disperdere con i loro trading spericolati patrimoni costruiti in decenni di lavoro.

Proprio quest’anno l’Italia ha approvato l’inserimento dell’educazione finanziaria nei programmi scolastici. C’è da sperare che funzioni: abbiamo bisogno di futuri cittadini consapevoli, capaci di gestire il denaro. Ne va della sorte degli oltre 5mila miliardi di euro di ricchezza finanziaria delle famiglie italiane.

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