lunedì 4 aprile 2022
L'analisi del centro studi Bruegel: senza le forniture da Mosca nell'Ue potrebbe essere necessario un razionamento dei consumi. Costoso, ma meno rischioso, il bando al carbone di Mosca
Attivisti di Attac protestano contro le importazioni di energia dalla Russia davanti alla raffineria di Rhineland, vicino a Colonia

Attivisti di Attac protestano contro le importazioni di energia dalla Russia davanti alla raffineria di Rhineland, vicino a Colonia - Reuters/Wolfgang Rattay

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Quattro analisti del centro di ricerca europeo Bruegel a metà marzo avevano pubblicato uno studio approfondito su come l’Europa avrebbe potuto gestire un bando al petrolio e al carbone della Russia. Il risultato di quell’analisi non è rassicurante, ora che questa ipotesi si sta facendo molto concreta.

I costi delle sanzioni sul petrolio russo

Per quello che riguarda il petrolio gli analisti di Bruegel parlano apertamente di misure di austerità in stile anni Settanta: «Dal momento che sarà difficile per l’Europa sostituire completamente e in modo tempestivo il petrolio greggio e i prodotti petroliferi russi, i governi devono incoraggiare la riduzione della domanda». Servirebbe un taglio dei consumi nell’ordine del 10%, con misure “morbide” come l’incoraggiamento a un maggiore uso del trasporto pubblico e del car sharing e, se necessario, provvedimenti più duri come restrizioni all’uso delle automobili.

Da un lato è vero che rispetto al mercato internazionale del gas, quello petrolifero è molto più flessibile. Solo una parte minoritaria delle forniture passa dalle condotte, la maggioranza dei carichi si muove con le navi petroliere. La Russia è il principale esportatore di petrolio e prodotti petroliferi raffinati, con vendite quotidiane all’estero su una media di 5 milioni di barili di greggio e altri 2,8 milioni di barili di prodotti raffinati (soprattutto gasolio, benzina e nafta). Il 60% delle esportazioni russe, circa 3,1 milioni di barili di greggio e 1,3 di prodotti raffinati, va in Europa. Circa il 20% di questi barili passa dal sistema Druzhba, gli oleodotti che collegano la Russia e l’Europa arrivano fino in Slovacchia (a Sud) e in Germania (a Nord).

L’Europa importa ogni anno circa 15 milioni di barili al giorno tra greggio (9,3 milioni di barili) e prodotti raffinati (5,6 milioni di barili): senza i 7,8 milioni di barili russi dovrà trovare forniture alternative. È presumibile che il greggio russo trovi altri sbocchi di mercato, finendo in Cina e India, che non hanno intenzione di varare sanzioni. L’Europa potrebbe quindi aumentare gli acquisti di greggio da altre nazioni, a partire da Arabia Saudita, Emirati, Iraq e Iran, intensificando il lavoro delle raffinerie e adeguandole a un prodotto differente (un petrolio non vale l’altro e ha bisogno di lavorazioni diverse).

Sarà in ogni caso un processo costoso, le quotazioni (già molto elevate) saliranno e non è scontato che l’Ue trovi sul mercato tutto il greggio che occorre. Per questo il rischio di razionamento dei consumi è elevato.

I costi delle sanzioni sul carbone

​Sul carbone la situazione è un po’ più gestibile. I maggiori esportatori, nell’ordine, sono Australia, Indonesia, Russia, Colombia, Sudafrica e Stati Uniti. I maggiori importatori sono invece Cina, India, Giappone ed Europa. Nel 2021 l’Ue ha importato 133 milioni di tonnellate di carbone, di cui 67 (più della metà) dalla Russia. Il consumo europeo del solo carbon fossile, notano gli analisti di Brugel, è stato di 139 milioni di tonnellate nel 2020: 79 di importazione e 57 di produzione europea. La Russia, con 43 milioni di tonnellate, è il primo fornitore (Germania e Polonia sono due grandi importatori di carbon fossile russo).

Per rinunciare al carbone russo, l’Europa dovrebbe di nuovo rivolgersi ad altri fornitori, sempre contando sul fatto che Mosca dirotterà il suo carbone su India e Cina (i principali consumatori di carbone del pianeta). Sarebbe una cosa fattibile, ma anche in questo caso costosa: il prezzo del carbone è già salito di oltre il 150% in un anno.

In ogni caso, scrivono da Bruegel, «fermare le importazioni di carbone russo non sembrerebbe causare interruzioni drammatiche dell’approvvigionamento nel complesso».

Sarà l’Europa a dove capire, a questo punto, se lo stop alle forniture dalla Russia farà più danni a Vladimir Putin o ai cittadini europei. Le sanzioni al gas sono state evitate proprio perché la bilancia dei danni pendeva purtroppo dalla nostra parte.

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