martedì 1 giugno 2021
L'arcivescovo: la città è sfiancata, invoco che finalmente si metta mano alla transizione ecologia, i fondi del Pnrr ci danno un'ultima opportunità
Monsignor Filippo Santoro

Monsignor Filippo Santoro - Siciliani

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«La sentenza stabilisce quello che i tarantini sapevano da tempo. Che era stato certificato dalle evidenze scientifiche: quello che è avvenuto a causa dell’Ilva è un vero e proprio disastro ambientale». Parole 'di amarezza' quelle dell’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, commentando la sentenza sull’Ilva. Però guarda già al dopo. «Ora si impone un cambiamento di rotta profondo», perché «dobbiamo restituire speranza a una città sfiancata dall’incertezza e dall’immobilismo».

Monsignor Santoro da dove nasce l’amarezza?

Eravamo nella certezza che le cose erano andate in questo modo. Ora, a prescindere da quello che deriverà dai successivi gradi di giudizio, in merito alle responsabilità individua-li, la magistratura stabilisce che le cose sarebbero potute andare diversamente, se la politica si fosse preoccupata realmente della salute dei tarantini. Questo è il giudizio che voglio mettere in evidenza, Quindi non c’è solo una responsabilità dell’impresa. Ma anche della politica. Che ha scaricato sui cittadini il danno.

E ora?

Ora è il momento di attuare quella transizione ecologica di cui sentiamo tanto parlare, e che auspichiamo che trovi applicazione proprio qui a Taranto, la città che più di ogni altra paga il prezzo al profitto messo come punto di riferimento più alto della vita.

Una sentenza però non ripara i guasti di decenni.

No, non li ripara. Per questo invoco che finalmente adesso si metta mano alla transizione ecologica. Ora c’è anche un Ministero con questo incarico e quindi è il momento giusto. Dobbiamo ripartire con le bonifiche attese da anni, rivedere il processo di produzione dell’acciaio, e questo è molto importante, utilizzando le migliori tecnologie possibili. È un cambiamento di rotta profondo che ora si impone.

Lei ha sempre sottolineato che però a pagare non devono essere ancora i cittadini con la perdita dei posti di lavoro.

Lo abbiamo sempre detto. Ed è proprio così. Dobbiamo restituire speranza a una città sfiancata dall’incertezza e dall’immobilismo. Ora abbiamo un’ultima opportunità con i fondi del Next generation Eu, col Recovery Plan. E quindi è il momento di restare uniti, di far fronte perché il territorio si possa finalmente risollevare.

È un punto d’arrivo o di partenza?

È un cambiamento di rotta per un nuovo punto di partenza. Ma servono finalmente fatti concreti.

La Chiesa tarantina è sempre stata in prima fila nella denuncia e anche nella proposta. E ora?

Lo saremo ancora di più. Abbiamo sempre sostenuto una posizione in difesa della dignità della vita, della salute e dell’ambiente, insieme con la difesa della dignità del lavoro. Una non può essere a scapito dell’altra. Quello che a Taranto va in crisi è il processo di massimizzazione del profitto.

Cosa le fa più male oggi? Vedere i ritardi con cui si riconosce quello che tutti i tarantini sapevano da anni o vedere che ora si riconosce che si poteva e doveva fare in un altro modo?

Mi fa male vedere che abbiamo passato nove anni di agonia. Questo è stato. Ora finalmente si pone una pietra miliare perché si eviti un’effettiva morte.

Ma anche dopo la morte, dice il Vangelo, ci può essere la rinascita…

Certo. Ma solo se davvero si cambia rotta sarà possibile la rinascita.

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