Una manifestazione per il lavoro - Archivio
Stanchezza e preoccupazione per le incognite del prossimo futuro: questo il sentimento prevalente nei lavoratori italiani ad aprile 2021, intervistati dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro per il Rapporto Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza. Più della metà (56,7%) indica l’aumento dello
stress e della fatica come il fattore che più ha caratterizzato la loro vita professionale nell’ultimo anno.
Solo il 14,3%, infatti, si dichiara pronto a ripartire. A metà aprile ci sono ancora 1,8 milione di occupati
che non lavorano, perché interessati da sospensioni di attività o cassa integrazione e circa un milione tra dipendenti e autonomi è convinto di perdere il lavoro nei prossimi mesi (rispettivamente 620mila dipendenti e 400mila autonomi circa). A questo numero, si aggiungono 2,6 milioni di dipendenti che vedono a forte rischio il proprio futuro lavorativo sull’onda dello sblocco dei licenziamenti. Così, in
questo scenario, più che investire sul proprio futuro professionale, anche attraverso nuovi obiettivi di
formazione, la maggioranza si preoccupa di salvaguardare il proprio lavoro (32,4%) e di recuperare
una dimensione di vita e di lavoro “più sostenibile” rispetto all’anno appena passato (28,8%).
Un’Italia ancora in mezzo al guado, quindi, che deve smaltire gli effetti della crisi (7,5 milioni di
lavoratori segnalano riduzione del reddito) ma che al tempo stesso ha visto rivoluzionare modalità e
contenuti del lavoro: cambiano i modelli organizzativi, cresce il valore riconosciuto alle competenze.
Anche come antidoto ad un mercato dove sono aumentate le disuguaglianze: tra lavoratori protetti e
non, tra profili ad alta e bassa qualificazione. Sono questi ultimi ad avvertire più forte il rischio di
marginalizzazione, in un sistema in cui solo il 53,6% pensa di avere un profilo appetibile sul mercato
– perché fortemente innovativo (27,7%) o specialistico (25,9%) – e chi (il 46% degli occupati)
considera le proprie competenze inadeguate in quanto troppo generiche (24,1%) o obsolete (22,2%).
Questa ammissione di debolezza preannuncia il rischio di autoesclusione dal mercato del lavoro e il
forte disagio dei profili meno qualificati, i più profondamente colpiti dalle restrizioni e dalla
contrazione del reddito.
«Il Rapporto conferma le marcate distinzioni che caratterizzano il mercato del lavoro, anche in
termini di reattività alle condizioni esterne - commenta Rosario De Luca, presidente della
Fondazione Studi Consulenti del Lavoro -. È ora di investire in modo strutturale sulle politiche attive
del lavoro per riqualificare le competenze di tutti quei lavoratori che rischiano di essere
espulsi dal mercato con la fine del blocco dei licenziamenti, a partire dai segmenti più fragili. Solo
così si possono affrontare le criticità dei prossimi mesi e sfruttare al meglio le opportunità che si
creeranno, se le scelte del Pnrr saranno quelle giuste».