sabato 18 febbraio 2017
Judith Wade (nella foto), scozzese trapiantata in Italia, ha messo in rete 125 parchi pubblici e privati, ogni anno visitati da più di otto milioni di persone
«Posti di lavoro qualificati nei giardini»
COMMENTA E CONDIVIDI

«Un posto di lavoro per ogni bene culturale». È più di uno slogan per Judith Wade, scozzese, sposata con uno svizzero e trapiantata in Italia per amore dell'arte, fondatrice e amministratrice di Grandi Giardini Italiani, che unisce e mette in rete 125 parchi pubblici e privati, ogni anno visitati da più di otto milioni di persone. Tra gli scopi della sua società di consulenza c’è anche quello di creare posti di lavoro qualificati, in grado di sostenere la crescita delle proprietà, diventate a loro volta delle piccole imprese. «Si potrebbe pensare a Grandi Giardini Italiani - spiega Judith Wade - come a una fabbrica della creatività diffusa su tutto il territorio Italiano, dove migliaia di persone sono impegnate tutto l’anno nel valorizzare i giardini e nel fornire un valore aggiunto a chi li visita: dai giardinieri, ai curatori e organizzatori di iniziative per il pubblico».

In 15 anni di vita la rete di Grandi Giardini Italiani è cresciuta con grande soddisfazione dei proprietari e dei visitatori. Cinque le acquisizioni da inizio anno. Dopo i Giardini Vaticani e quelli di Castel Gandolfo, di recente sono entrati in rete il Parco Botanico Angelo e Lina Nocivelli di Verolanuova (Brescia), Villa Tasca d’Almerita e la Tenuta Regaleali entrambe a Palermo. Gli stranieri, ma anche gli italiani, amano sempre più varcare i cancelli di ville e tenute per passeggiare tra gli alberi, ammirare fiori e prendere parte a eventi. E il cosiddetto Horticultural Tourism si conferma in crescita. Con oltre 700 eventi proposti in media in un anno. Un esempio virtuoso quindi. Un modello da prendere per decine e decine di beni culturali in Italia.


«Un giardino - continua l'amministratrice - ottiene il marchio di qualità se soddisfa quattro requisiti: essere di interesse storico e botanico, avere un alto livello di manutenzione ed essere visitabile almeno qualche giorno la settimana. Mettere a reddito un giardino significa spenderci del denaro. Ovvero assumere personale. Prima di tutto bravi giardinieri e pagarli il giusto. E poi dare servizi: avere orari di apertura lunghi, creare una biglietteria, mettere a disposizione delle guide turistiche, stampare una brochure con le informazioni utili, offrire un servizio bar, panche per sedersi, un parcheggio, i bagni. La rete di Grandi Giardini Italiani viene in aiuto per dare indicazioni e aiutare chi vuole mettersi su questa strada. In Italia, per esempio, c’è una scuola di eccellenza unica in Europa che pochi conoscono: la Fondazione Minoprio a Vertemate Con Minoprio, in provincia di Como. Il corso di studi teorico pratico dura addirittura cinque anni e chi si diploma è un vero professionista».

Sono diversi i casi di amministratori pubblici illuminati che hanno saputo valorizzare i loro giardini. Due esempi: i Giardini di Boboli a Firenze e il Giardino della Reggia di Caserta. Il segreto è stato farli rientrare nei rispettivi Poli museali. In questo modo il ricavato dei biglietti non entra nel “gran calderone” delle entrate statali, ma viene tenuto dall’ente per reinvestire e migliorare la proprietà.

«In Italia - conclude la fondatrice di Grandi Giardini Italiani - esistono decine di beni di pregio che potrebbero essere valorizzati. Penso che sia arrivato il momento di smettere di lamentarsi e di agire. Se aprissimo i siti culturali creeremmo centinaia di posti di lavoro e daremmo l’opportunità a tutti di godere di chiese, monumenti, palazzi, sculture, quadri oggi chiusi o nascosti in scantinati polverosi. Come è stato fatto per i Giardini occorre investire per mettere a punto servizi e strutture efficienti. E quindi mettere tutti i beni in rete per farli conoscere ai turisti. Ognuno può diventare una piccola impresa».




© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: