sabato 3 ottobre 2020
La proposta del fisico italiano: con un incremento di 1,5 miliardi di euro al bilancio della ricerca pubblica a partire dal 2021, si raggiungerebbero investimenti pari all’1,1% del Pil nel 2026
Investimenti per la ricerca #pianoAmaldi li raddoppia
COMMENTA E CONDIVIDI

L’Italia investe ogni anno soltanto lo 0.5% del Pil in ricerca pubblica, circa 9 miliardi di euro, di cui 6 destinati alla ricerca di base e 3 a quella applicata. La Francia investe lo 0.75% (circa 17 miliardi di euro), mentre la Germania quasi l’1%, 30 miliardi. In questa cornice il Piano Amaldi – dal nome del suo ideatore, Ugo Amaldi – avanza una proposta per un intervento concreto e puntuale allo scopo di colmare il grave ritardo del nostro Paese. Mantenendo un incremento di 1,5 miliardi di euro al bilancio della ricerca pubblica, di base e applicata, a partire dal 2021, si raggiungerebbero investimenti pari all’1,1% del Pil nel 2026, "agganciando" così la quota della Germania.

Ugo Amaldi ha esposto la sua proposta in un pamphlet contenuto nel saggio a più firme "Pandemia e Resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19", pubblicato dalla Consulta scientifica del Cortile dei Gentili. Il Piano Amaldi è stato trasformato in un hashtag su Twitter e sul web da Federico Ronchetti (vedi intervista sotto, ndr). Svariati studi confermano che la ricerca di base è all’origine dell’innovazione tecnologica di medio-lungo periodo e di nuovi mestieri, oggi impensabili. Oltre a generare conoscenza, dunque, produce anche benefici economici diretti.

Lo scorso luglio i leader Ue hanno concordato un articolato pacchetto, in cui, al piano finanziario pluriennale (1.074 miliardi di euro per il 2021-27) è accompagnato un ulteriore slot di 750 miliardi di euro, il Next Generation EU. Questo straordinario sforzo per la ripresa prevede per l’Italia una cifra di 208 miliardi, 81 dei quali in forma di sussidi a fondo perduto e 127 di prestiti da restituire a tassi agevolati e a condizioni di favore: fondamentale risulta, a questo punto, la destinazione di tali prestiti, ovvero, che siano finalizzati a generare nuova ricchezza per gli anni a venire.

La ricerca pubblica (a cui non fanno capo solo le scienze naturali, ma anche quelle sociali, umanistiche e culturali) rappresenta una delle migliori forme di investimento dei fondi europei, in considerazione delle straordinarie ricadute sul futuro delle nuove generazioni, per lo più in bacino in cui – con fondi relativamente limitati – il nostro Paese, che conta su pochi validissimi ricercatori, ha ampi margini di miglioramento. Spostare risorse alla ricerca pubblica significa, inoltre, investire sulla componente femminile della società, in virtù del fatto che in Italia il 47% dei ricercatori pubblici è rappresentato da donne, a fronte del 35% di Germania e Francia.Del resto, dalla pandemia è emersa con chiarezza la maggior resilienza e capacità di reazione dei Paesi (si veda Germania e Corea del Sud) più inclini ad investire in ricerca: constatazione a ulteriore sprone che l’Italia nel post-pandemia segua, con i fondi europei, la stessa direzione.

Considerando, poi, l’Europa, la produzione economica dell’industria che sfrutta il sapere della sola fisica ammonta a 1.450 miliardi l’anno, pari al 12% dell’output totale . Tale cifra supera abbondantemente quella dovuta a settori ritenuti, di per sé, già molto redditizi: commercio (4.5%), edilizia (5.3%) e servizi finanziari (5.3%). Improrogabile l’attuazione del #PianoAmaldi per il 2021: il sistema della ricerca pubblica è in tale sofferenza da non poterci permettere deroghe. E, soprattutto, è certo che sarà un’iniezione che, rivitalizzando il complesso della conoscenza, manterrà l’Italia all’altezza della fama conquistata in secoli di storia.




© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: