mercoledì 24 gennaio 2024
Pizzo (RITMI): «La norma operativa dal 12 gennaio ha del potenziale ma non affronta questioni fondamentali. E non si occupa del lato sociale»
Giampietro Pizzo, presidente di RITMI

Giampietro Pizzo, presidente di RITMI

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Qualcuno ha detto che il microcredito non è una finanza minore, ma una finanza migliore. Tuttavia il settore del microcredito in Italia non ha mai potuto contare sulle condizioni e sugli strumenti necessari per poter davvero incidere a livello di sistema. La buona notizia è che è operativo dal 12 gennaio il decreto 211/2023 del MEF che ha finalmente recepito le modifiche – inserite già nella finanziaria 2022 – alla normativa sul microcredito.

La notizia meno buona è che il decreto sembra palesare più ombre che luci: «Ha del potenziale, ma non affronta alcune questioni fondamentali», dice Giampietro Pizzo, presidente di RITMI- Rete Italiana di Microfinanza e Inclusione Finanziaria, che è fra i relatori dell'incontro di oggi a Roma, a Palazzo Valentini, per la presentazione del Rapporto sull'Inclusione finanziaria e il Microcredito curato da Gruppo Banca Etica, c.borgomeo&co. e RITMI.

«Innanzitutto – spiega Pizzo – il decreto si occupa solo di microcredito d'impresa e non di microcredito sociale. È un’assenza clamorosa e grave, perché c'era bisogno di un intervento sostanziale: il microcredito sociale è fondamentale per incidere sull'esclusione finanziaria (che secondo il Rapporto presentato oggi è in netto incremento, ndr) e sul fenomeno crescente del sovraindebitamento. Ci sono due milioni di famiglie sovraindebitate in Italia, senza più accesso a strumenti di pagamento. Il microcredito sociale, anche accoppiato a quello d'impresa, può accompagnare queste persone a uscire da meccanismi usurai e da percorsi di informalità che rischiano di trasformarsi a volte in illegalità».

Bene, invece, secondo Pizzo, le previsioni del decreto sull'innalzamento dei massimali (fino a 75mila euro, a 100mila per le Srl, mentre per il microcredito sociale restano fermi a 10mila euro) e l'estensione della durata dei finanziamenti da 7 a 10 anni. Ma male che si tirino in ballo le garanzie reali: «È un cambio di paradigma – afferma Pizzo – che rischia di snaturare il microcredito ». Bene la possibilità di finanziare imprese con più di 5 anni di attività e non solo startup, una specifica richiesta di RITMI: «Si poteva però renderla retroattiva – commenta Pizzo – a beneficio delle imprese con finanziamenti già attivi». Benino la “liberalizzazione”, cioè l'espansione del perimetro di azione del microcredito.

Ma il combinato disposto tra eliminazione dei requisiti di bilancio e mantenimento, invece, del tetto ai dipendenti (5 per lavoratori autonomi e imprese individuali, 10 per le società), può produrre effetti paradossali: «Prima – sottolinea Pizzo – c'erano molti lacci e lacciuoli, ora si è liberalizzato tutto. L'impatto andrà verificato, ma si rischia di perdere di vista la microimpresa, che è invece il target principale». Il vero elefante nella stanza è la questione della provvista. Il principale ostacolo alla crescita del microcredito è infatti la difficoltà degli operatori di accedere alla provvista per sviluppare un portafoglio microcrediti adeguato alle necessità, enormi. «Avevamo chiesto con forza – dichiara Pizzo – l'istituzione di un Fondo nazionale per il Microcredito. E lo sviluppo di strumenti specifici come i microfinance bond». Ma su questo il decreto è muto. Come pure non affronta la grande questione del finanziamento dei servizi ausiliari, per la quale RITMI da tempo propone di coinvolgere il Fondo sociale europeo. L’aiuto nella definizione dei progetti da finanziare, la formazione e l'accompagnamento dell'imprenditore, il collegamento con le strutture del territorio, sono ciò che fanno del microcredito il microcredito. E sono indispensabili per la sua sostenibilità. Ma, evidentemente, costano.

Inoltre, necessitano di reti sul territorio che fungano da infrastruttura sociale su cui installarsi. In questo senso RITMI in Puglia sta sperimentando una collaborazione con Anci (l'associazione dei Comuni italiani). «Se si vuole che il microcredito – conclude Pizzo – ambisca a diventare macro, per affrontare problemi come povertà ed esclusione finanziaria, è soprattutto su queste questioni che occorre intervenire. Lo diciamo da anni».

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