martedì 8 giugno 2010
Non c’è stata praticamente trattativa. Il vertice in Lussemburgo si è risolto con un invito ancora più pressante dell’Ue: «In una democrazia le sentenze di una corte si rispettano, è più che ragionevole aver concesso all’Italia un altro anno e mezzo di tempo». Le sanzioni costerebbero al nostro Paese 260 milioni all’anno.
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Tutto in una notte. Dal primo gennaio 2012 le dipendenti pubbliche dovranno probabilmente lavorare 4 anni in più per accedere alla pensione di vecchiaia. L’Europa infatti non fa sconti e l’Italia dovrà dire addio alla guadualità prevista nell’aumento dell’età pensionabile. Questo l’esito dell’incontro di ieri a Lussemburgo tra il ministro del lavoro Maurizio Sacconi e la vicepresidente della Commissione Ue Viviane Reding. L’esecutivo europeo non ha intenzione di concedere altri tempi supplementari e dunque la sentenza della Corte di giustizia Ue che chiede di equiparare l’età di uscita dal lavoro pubblico tra donne e uomini va applicata al più presto: «In una democrazia le sentenze di una Corte si rispettano», ha ammonito la commissaria Reding, secondo la quale «è più che ragionevole aver dato all’Italia» un altro anno e mezzo di tempo.In questo modo a partire dall’inizio del 2012 la pensione di vecchiaia negli uffici pubblici sarà per tutti a 65 anni, donne comprese, per le quali la legge attuale prevedeva invece a quella data un aumento a 62 anni dagli attuali 61. «Non c’è spazio per nessuna trattativa e siamo di fronte a qualcosa che non dipende dalla nostra volontà», ha detto Sacconi dopo l’incontro, spiegando che «non c’è aria di sconti» e giovedì il Consilgio dei ministri «dovrà decidere cosa fare». In base alle stime del ministero il mancato adeguamento alla sentenza della Ue costerebbe all’Italia 714 mila euro al giorno, circa 260 milioni l’anno.Preoccupati i sindacati, per i quali piove sul bagnato. Già devono fronteggiare la stretta triennale sugli stipendi pubblici previsto dalla manovra e la riduzione delle finestre pensionistiche, che ora arriva il «blocco» di uscita per le donne. «Dobbiamo discuterne subito con il governo», chiede il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, commentando la richiesta di Bruxelles. «Questo maramaldeggiare dell’Europa è ingiustificato, soprattutto in un momento di grande pressione sul pubblico impiego», aggiunge ricordando che sulla questione del pensionamento «si era già trovata una soluzione». Sacconi replica assicurando che nei prossimi giorni saranno sentite le parti sociali. E a proposito di possibili proteste dei sindacati rileva che «non conviene mai scioperare contro la pioggia».Dalla maggioranza però emerge fastidio per la posizione della Ue. Il ministro leghista Roberto Calderoli parla di «rigidità», mentre per il l’onorevole Giuliano Cazzola la «richiesta è irragionevole». Dall’opposizione parla l’ex ministro Cesare Damiano (Pd): «Non vorremmo che il governo strumentalizzasse il richiamo dell’Europa per anticipare la misura dei 65 anni per le donne. La Ue ha chiesto di equiparare le condizioni e meglio sarebbe una misura uguale per tutti, 61 o 62 anni, dopo cui far partire un’uscita flessibile fino ai 70 anni liberamente scelta». L’ipotesi ora è che il governo intervenga sul tema con la manovra economica, che tra l’altro nelle prime bozze circolate già prevedeva un’accelerazione sulle pensioni rosa. «È questo il veicolo più immediato e tempestivo attualmente a disposizione», ha spiegato lo stesso Sacconi. La scelta non sarebbe legata alla necessità di risparmi sul fronte dei conti pubblici. L’innalzamento immediato dell’età per le donne, secondo il ministro «avrebbe sulla manovra economica un’incidenza molto modesta e contenuta, visto che le donne interessate dal cambiamento delle norme sarebbero solo 30mila il primo anno. Dobbiamo comunque ancora fare i conti».
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