venerdì 4 giugno 2021
Il docente della Bocconi e presidente dell'Afol Milano: colpa del Reddito di cittadinanza se non si trovano lavoratori? No, ma è stato calato dall’alto. Si tiene poco conto delle competenze
Difficile trovare lavoratori stagionali

Difficile trovare lavoratori stagionali - Fotogramma

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«È un paradosso l’alto numero di disoccupati e assieme l’impossibilità per molte imprese di trovare lavoratori disponibili? Sì, ma non è certo una sorpresa». Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro alla Bocconi, presidente dell’Afol Milano e già dell’Agenzia nazionale per le politiche attive, dà una spiegazione di lungo periodo del nostro deficit di manodopera.

Ora non si trovano più non solo lavoratori altamente specializzati, ma anche figure più generiche come camerieri e operatori del turismo. Perché?
Ci sono molte cause che concorrono a questo fenomeno strutturale. Da sempre l’Italia è il Paese europeo nel quale risulta più alto il tasso di disallineamento tra competenze delle persone e richieste delle imprese. E di conseguenza tra domanda e offerta di lavoro. Questo perché mancano totalmente gli anelli di congiunzione tra percorsi scolastici, orientamento, formazione professionale, avviamento al lavoro, incontro domanda e offerta. Restano mondi separati e il risultato è che le imprese non trovano personale. O che si finisce per favorire l’irregolarità.

Una parte degli imprenditori punta il dito contro il Reddito di cittadinanza, accusando i giovani di non voler più lavorare o cercare solo attività in nero per arrotondare. È così?
Il Reddito di cittadinanza è solo un tassello che si aggiunge a un sistema che di per se stesso, a partire dall’alto costo del lavoro, disincentiva quello regolare e finisce per spingere verso il "nero". Dalla cassa integrazione all’indennità di disoccupazione, i nostri sussidi sono strutturati come alternativi all’occupazione. In altri Paesi, invece, le attività di lavoro sono parte del percorso di ricollocamento sostenuto attraverso il sussidio. Il disoccupato è come se fosse "assunto" dall’agenzia federale o dall’ente di collocamento e ha un forte ingaggio nella riqualificazione e nel reinserimento nel mercato del lavoro. Senza perdere i sussidi. Da noi invece è il contrario. L’Inps eroga un assegno che è incompatibile con il lavoro, mentre le politiche attive, ammesso che si facciano, sono competenza di un altro ente. Con una condizionalità solo teorica perché senza controlli. In questo modo si favorisce solo l’irregolarità che conviene sia al disoccupato sia al datore di lavoro.

Quindi il colpevole non è il Reddito di cittadinanza in sé, ma le modalità con cui è stato realizzato e in generale il nostro sistema di politiche attive e passive del lavoro...
Esatto. Il contrasto alla povertà è giusto, ma il Rdc è stato calato dall’alto senza far tesoro dell’esperienza del nostro mercato del lavoro ed è stato pensato astrattamente. Ad esempio, a chi obiettava "attenzione alle irregolarità" è stato risposto aumentando le pene, ma senza avere strumenti di verifica. Da una parte un grande spauracchio penale, perfino esagerato, dall’altro un’impotenza nei controlli.

E come potrebbe funzionare meglio? Come favorire il lavoro regolare?
Sarebbe utile eliminare il divieto di cumulo tra altri redditi da lavoro e sussidi (anche per la Cig). Con una parziale riduzione dell’assegno ma senza la sua cancellazione, così da diventare un incentivo a trovarsi un’occupazione, anche temporanea.

Quali riforme sono necessarie adesso?
Abbiamo davanti l’ultima occasione per cambiare grazie al Pnrr. Abbiamo le risorse sia per sussidi adeguati sia per potenziare i servizi. Per costruirli davvero. Ma attenzione: non vedo ancora progetti seri in questa direzione. Sulla formazione, ad esempio, non c’è un piano nazionale di riforma per ricondurla a soddisfare davvero il fabbisogno di competenze delle persone e delle imprese. Vanno selezionati i formatori sulla base di una verifica delle competenze dei lavoratori prima e dopo i corsi e in base ai risultati di collocamento. Basta finanziamenti a pioggia sulla base di un semplice accreditamento.

Il Piano europeo punta a transizione verde e digitalizzazione, siamo in ritardo su queste competenze?
Molto. Rischiamo ciò che è avvenuto con Industria 4.0: ottimo programma con il quale si è incentivato l’acquisto di nuovi macchinari. Ma poi non c’erano i lavoratori specializzati per farli funzionare e le imprese non hanno potuto cogliere tute le opportunità in termini di efficienza e produttività. Occorre invece partire proprio dalla formazione del capitale umano nelle competenze green e digitali per poter cogliere le opportunità di sviluppo. I Paesi che l’hanno fatta sono cresciuti di più tanto sul piano economico, quanto su quello dell’occupazione.

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