lunedì 9 gennaio 2017
Il maxi-investimento di Fiat-Chrysler creerà 2.000 posti di lavoro. Marchionne: «La politica protezionistica di Trump non ha influito sulla scelta». Ma sul Salone aleggia l'ombra del neo presidente
L'amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne

L'amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne

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Fiat-Chrysler investirà 1 miliardo di dollari negli Stati Uniti, creando 2.000 nuovi posti di lavoro. L'annuncio arriva mentre l'industria automobilistica è sotto pressione per le parole del presidente eletto Donald Trump, che ha criticato General Motors, Ford e Toyota minacciando l'imposizione di dazi per le importazioni di auto dal Messico. «Continuiamo a rafforzare gli Stati Uniti come hub manifatturiero globale per quei veicoli essenziali per il mercato dei Suv», afferma l'amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne. L'investimento sarà infatti destinato a rinnovare alcuni impianti in Michigan e in Ohio per la produzione di tre nuovi modelli Jeep e per adeguare lo stabilimento di Warren alla produzione del pickup Ram, attualmente prodotto in Messico. Gli Stati Uniti sono il maggiore mercato al mondo per Suv e pickup, ma l'ampliamento della linea Jeep consentirà a Fca di “internazionalizzare” il marchio, esportandolo in altri mercati, dove finora non ha avuto accesso per limiti alla produzione. L'investimento sarà effettuato nell'arco di tre anni e riguarderà gli stabilimenti di Warren, dove saranno prodotte la Jeep Wagoneer e la Grand Wagoneer, e di Toledo, dove sarà realizzato il nuovo pickup up di Jeep.

L'annuncio arriva in concomitanza con l'apertura del Salone dell'auto di Detroit, che si lascia alle spalle l'era dei salvataggi di Barack Obama e si avvia verso l'incertezza della nuova amministrazione, fra tweet di “condanna” contro le case automobilistiche statunitensi che producono in Messico e la possibile nuova ondata di protezionismo. Timori che si aggiungono alla spinta tecnologica, che ha già costretto Detroit a rivedere il suo modello di business e allearsi, non sempre volentieri, con la Silicon Valley, per le auto senza guidatore ma anche per offrire vetture hi tech in grado di rispondere alle nuove esigenze dei consumatori. «Sarà un Salone spettacolare», dice il sindaco di Detroit, Mike Duggan, celebrando la rinascita dell'industria automobilistica e della sua città.

Ma sul settore aleggia l'ombra di Donald Trump: glia attacchi a Ford, Gm e Toyota hanno messo in allerta l'intero settore, creando preoccupazione e lasciando le case automobilistiche a interrogarsi su come rispondere al meglio alle intenzioni del presidente eletto. Le strade finora intraprese sono state diverse: alle critiche per l'impianto in Messico, Ford ha risposto rivedendo i suoi piani e accantonando il progetto. General Motors attraverso il suo energico amministratore delegato, Mary Barra, ha invece annunciato di non aver alcuna intenzione di rivedere i propri piani. Al pari di Toyota che ha risposto pubblicamente a Trump e alla sua minaccia di dazi: «Il nostro stabilimento in Messico non cambierà i livelli di produzione e di occupazione negli Stati Uniti», ha fatto sapere il Gruppo giapponese.

Per quanto riguarda Fiat Chrysler invece, una fonte vicina al Gruppo ha precisato che gli investimenti in Usa «non sono conseguenti alle recenti prese di posizione del neo presidente Trump» e che questi piani per espandere la produzione negli Stati Uniti erano stati programmati già mesi fa, contestualmente alla cessata produzione delle piccole e medie vetture. «L'ho conosciuto in passato ma non ho avuto contatti diretti recenti con Trump», ha precisato Marchionne, che ha definito «semplici speculazioni» la possibile offensiva lanciata contro i marchi che producono in Messico vetture destinate al mercato americano. «Aspettiamo che il presidente di insedi e poi vedremo le sue mosse», ha aggiunto l'ad di Fca.

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