venerdì 30 marzo 2018
Strade e sinergie sono i punti deboli del distretto marchigiano dei berretti
Le Marche sono la terra dei cappelli ma pesano le poche infrastrutture
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È il distretto europeo del cappello e si trova nel cuore delle Marche, in un fazzoletto di piccoli paesi difficili da scovare senza navigatore. Ma appena arrivati fra le colline che li coronano si è certi d’essere a destinazione, ogni pochi metri sulle strade campeggiano insegne d’aziende di berretti e di outlet, di musei del cappello e botteghe. Siamo fra la provincia di Fermo e quella di Macerata, in un quadrilatero che unisce Montappone e Massa Fermana, Monte Vidon Corrado, Falerone, Mogliano, Loro Piceno, Sant’Angelo in Pontano. In questa zona coinvolta dal sisma del 2016 – siamo in pieno cratere – si producono il 70% dei cappelli italiani, per un fatturato di circa 100 milioni di euro. E un export da 75 milioni. In paesi da millecinquecento abitanti, il settore e il suo indotto danno lavoro a un centinaio di imprese e circa 1650 persone. Ogni famiglia ne è coinvolta. «Arrivano compratori da tutto il mondo, le nostre aziende producono per prestigiose firme internazionali. C’è chi cuce capi di nicchia e chi grandi volumi in maglieria, feltro, paglia. Il panorama è variegato», spiegano Mauro Ferranti e Gilberto Caraceni, sindaci rispettivamente di Montappone e Massa Fermana, dove si concentra il core business del distretto: l’80% delle aziende.

Tutto è iniziato nel primo 800, quando nella zona si intrecciavano cappelli di paglia per chi lavorava sotto il sole dei campi. E poi la concretezza, la determinazione e la creatività di queste terre hanno dato slancio ad un’intera filiera. Gli anni ’70 sono stati quelli del boom, con le botteghe diventate aziende di berretti d’ogni foggia, in un crescendo di maestranze unico in Europa. Per esempio quelle di Tirabasso, che ha un catalogo di 2000 cappelli e collabora, come tutti nel distretto, con grandi griffe della moda; o di Sorbatti, rivolto a un mercato medio alto del lusso; o di Ferruccio Vecchi, i cui modelli sono stati calzati da icone di stile come Kate Middleton o Carolina di Monaco; o di Olimpia, specializzata in maglieria. In un territorio forte della propria artigianalità, manualità e pioneristica capacità di tessere relazioni commerciali con la Cina già dagli anni 80. Dove la piccola dimensione delle imprese ne ha garantito la flessibilità e, durante la crisi, ha posto un freno alla carenza di risorse finanziarie. Se a livello nazionale il settore cappello nel 2017 ha registra un +1,3% rispetto ai primi nove mesi dell’anno precedente, lo si deve alla forza dei cappellifici marchigiani, nonostante alcuni punti critici che gli operatori del distretto vorrebbero migliorare. I presidenti di categoria, Paolo Marzialetti del Settore Cappello nazionale, Carlo Forti di sezione Cappelli di Confindustria Fermo e Serafino Tirabasso del consorzio Capeldoc Marche ribadiscono quanto sia necessario dotare la zona, isolata fra le campagne, di nuovi raccordi stradali. O quanto sia urgente attivare maggiore sinergia fra le realtà imprenditoriali locali per superare gli individualismi, elaborando magari un marchio commerciale unico. C’è poi il problema della manodopera. Calo demografico ed emigrazione dei giovani sottraggono le risorse professionali, colmate in parte grazie ai lavoratori stranieri. «Occorre riaccendere l’entusiasmo fra le nuove generazioni» sostengono in coro rappresentanti di categoria e sindaci. E per questo che nel distretto si è dato il via a una serie d’iniziative, come l’apertura dei musei del cappello di Montappone o Massa Fermana, ed è partita la Scuola del cappello per formare i cappellai di domani.

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