Tre operai su quattro sono spaventati - Archivio
Nell’anno della "paura nera", il welfare cambia le relazioni e le vite in azienda. Un clima di speranza e di coesione a cui contribuiscono un po’ tutti: politici, sindacalisti, imprenditori e dipendenti. Tuttavia, il futuro fa paura. Sono 9,4 milioni i lavoratori del settore privato, infatti, preoccupati del proprio posto. In particolare, 4,6 milioni temono di andare incontro a una riduzione del reddito, 4,5 milioni prevedono di dover lavorare più di prima, 4,4 milioni hanno paura di perdere il lavoro e di ritrovarsi disoccupati, 3,6 milioni di essere costretti a cambiare impiego. Gli operai spaventati sono tre su quattro. Sono alcuni dei principali risultati del IV Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale.
Le aziende, invece, sono più ottimiste. L’87% guarda con fiducia la ripresa dopo l’emergenza. Voglia di fare (62,2%), speranza (33,7%) e coesione interna (30,1%) sono gli stati d’animo prevalenti tra i responsabili aziendali intervistati dal Censis. Il 'dopo' sarà caratterizzato dalla corsa al recupero di fatturato e quote di mercato (76%) e dalla sfida della transizione digitale (36,2%). L’ottimismo delle aziende colpisce, visto che ben il 68,7% registra perdite di fatturato dopo il blocco della scorsa primavera. Nonostante le straordinarie difficoltà, per il 62,2% dei responsabili aziendali le proprie imprese se la stanno cavando bene. «Il welfare aziendale – spiega Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl – è una formidabile opportunità per una crescita diffusa della nostra società, oltre che uno strumento di coesione sociale e di partecipazione dei lavoratori. Ma bisogna fare molto di più. Se il welfare aziendale fosse esteso a tutte le imprese private, libereremmo più di 53 miliardi di euro tra risparmi fiscali alle aziende e valore delle prestazioni erogate ai lavoratori. In Italia solo un’azienda su tre pratica la contrattazione decentrata. E al Sud il ritardo si fa ancora più marcato ». Il beneficio per le aziende sarebbe pari a 34 miliardi di euro, tra vantaggi fiscali e possibili incrementi di produttività. Per il singolo lavoratore il beneficio sarebbe pari a quasi una mensilità in più l’anno, per un totale di 19 miliardi.
Per l’87,2% delle aziende il welfare aziendale sarà sempre più importante in futuro: per il 52% perché migliorerà la coesione interna di organici sempre più diversificati nelle modalità di lavoro, per il 35,2% perché renderà disponibili servizi di welfare utili e strumenti di formazione per trasferire nuove competenze ai lavoratori. Più welfare aziendale, dicono le imprese. Più welfare aziendale, dicono i lavoratori. Il 77,4% di loro vuole che nella propria azienda venga potenziato, laddove esiste già, o introdotto, se ancora non è stato attivato (il dato sale all’83,1% tra i dirigenti, all’82,1% tra gli impiegati e scende al 61% tra gli operai). Anche il lavoro da casa risulta molto contrastato. Il 31,6% lo sperimenta da remoto: il 51,5% dei dirigenti, il 34,3% degli impiegati e il 12,3% degli operai. Il 52,4% degli smartworker lo apprezza e vorrebbe che restasse anche in futuro, invece il 64,4% di chi lavora in presenza lo teme. Per il 37% degli smartworker il proprio lavoro è rimasto lo stesso di prima, per il 35,5% è peggiorato, per il 27,5% è migliorato. Ma per quattro lavoratori su dieci il lavoro da casa genera nuove disuguaglianze e divisioni in azienda.
Per Claudio Durigon (Lega), sottosegretario all’Economia e alle Finanze, «serve un intervento forte del governo e del Parlamento, si deve capire che il welfare è uno dei punti salienti nella ripartenza, perché il Covid è un grandissimo spartiacque. Sono favorevole allo smart working, ma ora è una formula condizionata all’abuso, con numeri che difficilmente resteranno tali nella ripresa». «In passato quando abbiamo tentato di fare riforme a costo zero, non funzionavano – conclude Debora Serracchiani (Pd), presidente della commissione Lavoro della Camera –. Oggi abbiamo le risorse e sono preziose, non vanno buttate ma impiegate al meglio. Il protagonismo delle parti sociali è fondamentale perché il welfare passa dalla contrattazione collettiva e di secondo livello. I numeri del welfare sono diversi fra Nord e Sud, e questo dipende anche dall’informazione. Solo il 30% dei lavoratori dice di essere informato in modo completo sul sistema di welfare aziendale. Il welfare deve entrare in uno dei titoli della riforma degli ammortizzatori sociali e in quella delle politiche attive e andrebbe legato a formazione e riqualificazione professionale. Mentre è sbagliato interpretare lo smart working solo come conciliazione dei tempi di vita».