venerdì 20 maggio 2016
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Più che l’Italia, poté l’Europa. Si potrebbe anche dire così, guardando a ciò che è stato deciso in Europa sul fronte della responsabilità sociale d’impresa. Più precisamente, a proposito della rendicontazione della csr, cioè la pubblicazione da parte delle imprese di informazioni che aiutino a comprendere le ricadute sociali e ambientali, oltre che economiche, della loro attività. A differenza di altri Paesi, in Italia non c’è l’obbligo per le imprese di fornire queste informazioni. In particolare non c’è l’obbligo di pubblicare il bilancio sociale o di sostenibilità, che è il documento in cui tali informazioni trovano abitualmente spazio. In Francia tale obbligo è previsto per le imprese quotate fin dal 2001, ma regole simili esistono anche in altri Paesi europei o, al di fuori dell’Europa, in India e in Sudafrica. Di solito ad essere coinvolte sono appunto le imprese quotate, o comunque quelle di maggiori dimensioni o che sono possedute o partecipate direttamente dagli Stati. Ed è proprio questo, sostanzialmente, il bacino d’impresa che sarà interessato dalla direttiva europea che entrerà in vigore a partire dal prossimo anno. Si tratta della Direttiva 2014/95/UE sulle informazioni non finanziarie. La sua applicazione avrà infatti a oggetto le imprese di grandi dimensioni, con più di 500 dipendenti, e quelle comunque ritenute di interesse pubblico. Le stime parlano di circa 6mila imprese potenzialmente interessate in Europa dalla direttiva, intorno a 250-300 nel nostro Paese. A queste imprese, a partire dall’esercizio del prossimo anno, verrà imposto l’obbligo non esattamente di pubblicare un bilancio sociale – anche se ovviamente chi già lo fa potrà utilizzare allo scopo proprio quel documento –, ma comunque di dare informazioni su tutta una serie di aspetti non finanziari tradizionalmente d’interesse in una prospettiva di responsabilità sociale: informazioni attinenti al personale e al rispetto dei diritti umani, relative alla lotta contro la corruzione, alle politiche ambientali e alla gestione della diversità in azienda. Siccome ogni Stato membro è stato chiamato a recepire la direttiva e ad attuarla tenendo conto della specifica realtà del proprio tessuto imprenditoriale, e la scadenza per farlo sono gli inizi di dicembre, il 3 maggio anche il ministero dell’Economia e delle Finanze ha avviato una consultazione pubblica. Nel testo di consultazione, si lanciano una serie di sollecitazioni sui principali punti in merito ai quali si richiedono osservazioni e suggerimenti. Ce n’è uno che riguarda ad esempio l’opportunità di estendere forme di rendicontazione non finanziaria alle Pmi. E chissà, allora, che i risultati della consultazione, aperta fino al 3 giugno, non possano aiutare a delineare una sorta di via italiana alla rendicontazione non finanziaria. Perché è vero che in questo caso, come per la verità anche in altri, l’obbligo ci è stato imposto dall’Europa. Ma è anche vero che spesso in Italia siamo capaci di grandi cose. A quel punto, sarà magari l’Europa a seguirci. Andrea Di Turi © RIPRODUZIONE RISERVATA profitto sociale
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