giovedì 24 marzo 2016
Parla ​Stefano Lepri, senatore del Pd e relatore del ddl delega sulla riforma del Terzo settore: sul perimetro delle imprese sociali deciderà il governo.
Lepri: la riforma non blocca la vera finanza sociale
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«Finora, per trent’anni, abbiamo riconosciuto le singole dita. Invece con l’approvazione di questo provvedimento regoleremo il Terzo settore come se fosse una mano, composta da più dita, certo, ma che dovranno muoversi in modo coordinato». Stefano Lepri, senatore del Pd e relatore del ddl delega sulla riforma del Terzo settore utilizza questa metafora per spiegare l’importanza di inquadrare fenomeni di grande valore - basti pensare al volontariato, alla cooperazione sociale o all’associazionismo di promozione sociale - in modo organico. Lepri, inoltre, non si mostra preoccupato per il rinvio a dopo Pasqua dell’esame del provvedimento da parte dell’Aula di Palazzo Madama: «Contiamo di arrivare all’approvazione definitiva del testo alla Camera al massimo entro la metà di maggio. Questo è l’obiettivo del Pd, della maggioranza e del governo. Sono convinto che riusciremo a centrarlo». Ieri, però, è arrivato un altro slittamento. Da dove nasce il suo ottimismo? Dal fatto che abbiamo già votato al Senato i primi cinque articoli e siamo praticamente a metà legge. Con i colleghi della Camera è stato fatto un lavoro congiunto, quindi non vedo una strada in salita. Le opposizioni contestano in particolare l’articolo 6. Si sostiene che così le imprese sociali diventano «un ibrido» e si lamenta «l’assenza di controlli adeguati»...È esattamente il contrario. Quello di 'impresa sociale' sarà una sorta di cognome che chiunque si impegnerà a sottostare a determinate regole potrà aggiungere al suo nome. In pratica, le Srl o le Spa che vorranno assumere questa qualifica potranno farlo, a patto che rispettino condizioni rigide: operare in attività di interesse generale, attenersi alle regole stabilite per la remunerazione del capitale... In pratica, verranno estesi vincoli già previsti per le coop. Paletti ancora più stringenti, invece, ci saranno per associazioni e fondazioni. Che cosa cambierà al Senato rispetto alla versione del ddl uscita da Montecitorio? Verranno cancellati alcuni passaggi che potevano creare confusione. Nel testo confezionato alla Camera c’erano criteri più flessibili che rischiavano di aprire le porte d’ingresso al 'quasi profit' o – peggio ancora – al 'profit mascherato'. Ciò non deve avvenire. Fa discutere l’istituzione della 'Fondazione Italia sociale'. Perché a suo avviso sarebbe utile una struttura statale? Non è esiguo un capitale da un milione di euro visto che inizialmente si parlava di somme ben più elevate? Lo scopo della Fondazione non deve essere tanto quello di utilizzare soldi pubblici. Piuttosto è un organismo pensato per attrarre le donazioni di imprese e cittadini – sotto forma di prestiti, erogazioni a fondo perduto o anticipazioni di capitale – destinate agli enti del Terzo settore. La Fondazione offrirebbe garanzie sia sulla destinazione pubblica delle risorse sia sull’elevato impatto sociale e occupazionale dei progetti realizzati. All’interno dello stesso Terzo settore c’è chi manifesta delusione. Alcuni ritengono che con una riforma del genere, in realtà si sia persa l’occasione di far spiccare il volo a questo mondo facendo prevalere la paura di essere contaminati al coraggio di voler crescere. Perché, ad esempio, non è stata considerata abbastanza la finanza a impatto?  La finanza, se vuole, può tranquillamente operare nel sociale. Dipende come lo fa e a quali condizioni. Del resto, le case di riposo per anziani già adesso sono a netta maggioranza gestite da privati che puntano al profitto. La riforma prevede alcuni strumenti innovativi come il crowdfunding. Non si stanno fermando forme d’investimento nuove. Semplicemente non si può avere la targhetta di impresa sociale – o comunque stare dentro il Terzo settore – e pretendere una remunerazione del capitale del 7, dell’8 o del 10%. Con l’aggiunta, magari, pure di incentivi fiscali. Un’altra critica consiste nel fatto di aver confinato l’impresa sociale nel recinto del welfare, escludendo campi d’azione quali lo sport, l’agricoltura sociale o le energie rinnovabili. Si è osato poco? Auspico che le imprese sociali siano sempre più presenti nel microcredito, nell’housing sociale, nello sport e in altri comparti 'nuovi'. È stato delegato il governo a indicare entro un anno i settori d’attività in cui si potrà operare. 
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