lunedì 11 giugno 2018
La Suprema Corte dà ragione a una vedova che rivendicava il pieno diritto nei confronti dell’assicurazione per la perdita di suo marito in un incidente stradale
La reversibilità non riduce il risarcimento del danno
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La pensione di reversibilità non riduce il risarcimento del danno. Il familiare superstite ha diritto a ricevere dalla compagnia di assicurazione il risarcimento pieno per la perdita del congiunto in un sinistro stradale, senza decurtarlo cioè del valore capitale della pensione di reversibilità cui, lo stesso familiare, abbia diritto in conseguenza della morte del congiunto. A stabilirlo è la Cassazione, sezioni unite, nella sentenza n. 12568/2018, dando ragione a una vedova che rivendicava il diritto al pieno risarcimento, nei confronti dell’assicurazione, per la perdita di suo marito in un incidente stradale.

Il principio fissato dalle sezioni unite risolve il contrasto di giurisprudenza esistente in merito alla questione se, in tema di danno patrimoniale patito dal familiare di una persona deceduta per colpa altrui, l’ammontare del risarcimento vada ridotto o meno del valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto.

È proprio questa la vicenda da cui ha preso vita la causa: l’azione giudiziaria, cioè, proposta da una vedova, a seguito di un incidente stradale in cui ha perso la vita suo marito, per avere il risarcimento del danno non riconosciutogli dalla compagnia assicurativa, a motivo del fatto che la donna, per effetto dello stesso sinistro, ha avuto diritto anche alla pensione di reversibilità dal marito defunto. Sia il Tribunale sia la Corte di appello le danno torto, sostenendo che il danno da decesso è assorbito interamente dalla pensione di reversibilità.

Sulla questione la Cassazione aveva formato nel tempo due orientamenti contrastanti. Il primo e prevalente esclude che, nella liquidazione del danno patrimoniale per la morte di familiare, si tenga conto della pensione di reversibilità a favore dei congiunti della vittima, perché tale pensione non ha natura risarcitoria ma previdenziale. Il secondo orientamento, più recente, ritiene piuttosto che dall’importo del risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui vada sottratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto, perché tale pensione ha funzione indennitaria, cioè rivolta a sollevare i familiari dallo stato di bisogno derivante dalla scomparsa del congiunto.

Risolvendo questo contrasto, le sezioni unite ammettono il cumulo delle due prestazioni, per il semplice motivo che ognuna ha una propria formazione genetica e non sono sovrapponibili. La pensione di reversibilità, infatti, non è connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo: non soggiace alla logica e allo scopo di tipo indennitario, ma costituisce l’adempimento di una promessa: lo scambio del sacrificio del lavoro del cittadino con la garanzia di un trattamento diretto a tutelare i suoi congiunti nel sostentamento, nel momento in cui passerà a miglior vita. Che è il senso e la funzione specifica della previdenza, confermata e rafforzata dal recente passaggio dal sistema retributivo (l’importo della pensione è quota della retribuzione del lavoratore) a quello contributivo (l’importo della pensione è quota dei contributi versati dal lavoratore). In tale prospettiva, peraltro, l’occasione materiale del decesso, ossia il fatto illecito altrui, è del tutto estraneo all’erogazione previdenziale: scomputarne l’importo, pertanto, produrrebbe conseguenze di dubbia costituzionalità.

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