giovedì 23 settembre 2010
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Nessuno ha voglia di passare per il mandante politico della cacciata di Alessandro Profumo. La vicenda è stata gestita troppo male per essere difesa. «Lo hanno mandato via come si farebbe con il presidente della bocciofila. Non c’è un sostituto, non c’è una strategia. È stata una cosa da dilettanti» commenta, con Avvenire, Guido Crosetto, del Pdl, che per anni ha tenuto i legami del centrodestra con il mondo delle banche. No, nessuno festeggia pubblicamente per un simile allontanamento di un manager «che ha fatto un lavoro importante», come dice una «dispiaciuta» Emma Marcegaglia, numero uno degli industriali.Considerato che quasi tutti gli indici sono puntati contro la Lega – come è ovvio, data la sua vicinanza alle Fondazioni che hanno sfiduciato l’amministratore delegato di Unicredit – il Carroccio fa di tutto per ridimensionare l’importanza del suo ruolo in questa partita. «Noi non c’entriamo» assicura Giancarlo Giorgetti, il presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera, la sfiducia a Profumo «è stata una scelta aziendale, nella quale nulla ha influito la Lega» ribadisce Maurizio Fugatti, capogruppo leghista in Commissione Finanze.Chi però ha assistito all’arrivo di Giulio Tremonti in Transatlantico, ieri mattina, parla di un ministro dell’Economia tutt’altro che allegro. Nelle ricostruzioni dell’agitata serata del lunedì di Unicredit il ministro è indicato come quello che ha voluto difendere Profumo dall’attacco della Lega, ma senza successo. Si parla di un rapporto incrinato tra Tremonti e il Carroccio. Ma «sono cose fantasiose» chiarisce Umberto Bossi. «Eravamo a cena insieme, ieri. A litigare...» scherza poco dopo lo stesso Tremonti. Tra i due il rapporto è «fraterno» e «al massimo il ministro ce l’ha con qualche leghista "minore" che ha voluto fare un’inutile prova di forza» spiegano dagli ambienti del Pdl. Retroscena (ufficialmente) smontato. Sbiadisce anche l’immagine di una Lega soddisfatta. Perché al Carroccio non piacciono i fondi libici, ma nemmeno i banchieri tedeschi. «Avevo paura che la Germania potesse mettere le mani sulla banca – racconta Bossi – ma poi ho visto che non hanno i numeri». Ha voglia di parlare, il leader leghista. Si lamenta degli amministratori di Unicredit, che non hanno trovato un sostituto prima di allontanare Profumo, e spera in un «minimo di azioni intelligente da parte delle Fondazioni» con Giuseppe Guzzetti – presidente dell’Acri e della Fondazione Cariplo – che dovrebbe «riorganizzare la difesa» dall’assalto di Dieter Rampl e degli altri bavaresi.Un’altra versione dei fatti accusa il premier Silvio Berlusconi di avere organizzato il licenziamento di Profumo per liberare la strada verso la fusione Mediobanca-Generali a Cesare Geronzi, il presidente della compagnia triestina. Lo ha scritto Repubblica e da Palazzo Chigi una nota ufficiale definisce «assolutamente fantomatica» questa storia.Se qualcuno ha motivi per festeggiare la "decapitazione" di Piazza Cordusio lo sta nascondendo molto bene. «C’è malumore, nel Pdl e nel governo, perché questo è solo un problema in più. Se poi sono stati gli uomini di Bossi, beh, non hanno fatto altre che fare confusione» insistono fonti della maggioranza. Scontente anche di vedere un Pd che può andare all’attacco con facilità su tutta questa storia. «La confusione della Lega su Unicredit è totale e fa danni, innanzitutto ai territori che vorrebbe difendere – ha commentato ieri il responsabile economico Stefano Fassina –. Tosi si vanta di aver buttato giù Profumo, in realtà ha assecondato un’operazione di altri».
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