giovedì 19 ottobre 2023
La strategia di Pechino per mettersi al centro dei mercati mondiali si è scontrata con la crisi della globalizzazione. Mentre i Paesi coinvolti temono la “trappola del debito”
La nuova Via della seta compie 10 anni, ma diventa più piccola
COMMENTA E CONDIVIDI

Una festa o un funerale? Lanciata dieci anni fa, la Belt and Road Initiative (Bri), la nuova Via della seta – l’immensa e tentacolare ragnatela di ferrovie, autostrade, infrastrutture fisiche ed energetiche con cui la Cina vuole avviluppare (o stritolare?) il mondo – è stata celebrata ieri dal presidente cinese Xi Jinping nella Grande Sala del Popolo di Piazza Tienanmen a Pechino, davanti ai rappresentanti di oltre 130 Paesi, in gran parte del Sud del mondo. «Abbiamo stimolato il flusso di beni, capitali, tecnologia e risorse umane nei Paesi coinvolti», ha detto il “nuovo timoniere”, parlando, enfaticamente, di «un magnifico quadro dipinto insieme, di connessione del mondo e di condivisione di bellezza e prosperità».

Ma a dare una dimensione plastica del ridimensionamento in atto del progetto, nonostante l’annuncio di 100 miliardi di dollari in nuovi finanziamenti, è la platea che lo ascoltava. Presenti il “caro amico”, il presidente russo Vladimir Putin, così come il ministro del commercio dell'amministrazione dei taleban afghani, Haji Nooruddin Azizi. Assente tutto il blocco europeo – unica eccezione il primo ministro ungherese Viktor Orban –, nonostante la Belt and Road Initiative sia nata proprio con l’ambizione di allacciare il gigante asiatico all’Europa occidentale. Defezioni che pesano, se si tiene conto la Cina è il secondo partner commerciale dell’Ue dietro gli Stati Uniti, con le importazioni ed esportazioni totali che hanno raggiunto, nel 2022, quota 856,3 miliardi di euro. L’Italia, unico Paese ad avere aderito al piano nel 2019 con l’allora governo guidato da Giuseppe Conte, ha annunciato, nei mesi scorsi, che si defilerà perché «l’iniziativa non ha portato i risultati che ci aspettavamo», come ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Che ne è, allora, del mastodontico progetto, che secondo i dati ufficiali cinesi ha già movimentato la cifra record di un trilione di dollari di investimenti, spalmati in 3mila progetti, con oltre 150 Paesi coinvolti? Un successo o un fallimento? Il mantra della leadership cinese è, ora, ridimensionare. La Bri deve ridefinirsi come «piccola, green e digitale». Insomma meno cemento, più dati. In dieci anni – da quando Xi annunciò il lancio del progetto – molto, troppo è cambiato. La competizione geopolitica con gli Usa è sfociata in una vera e propria guerra commerciale. La guerra in Ucraina e la crisi in Medio Oriente stanno irrigidendo il mondo in blocchi ferocemente contrapposti. La pandemia da Covid-19, partita proprio dalla Cina, ha offuscato i sogni di gloria di Pechino, ha inflitto una serie di colpi (fatali?) alla globalizzazione, non più vista come la via maestra alla prosperità ma, al contrario, come la fonte di una micidiale infezione. Il dossier Taiwan, con i fantasmi dell’annessione violenta, rischia di imbrattare l’immagine “aperturista” che Pechino vuole mostrare. La stessa economia cinese sembra aver perso, poi, la spinta propulsiva dei decenni precedenti. Un mix che ha portato a un deciso rallentamento dei sogni cinesi, i cui segni tangibili sono il calo degli investimenti infrastrutturali all’estero delle banche di Pechino e l’aumento dei default del debito Bri.


Alla celebrazione dell’anniversario l’ungherese Orban era l’unico leader occidentale presente
L’Italia ha già chiarito che si defilerà dalla controversa intesa siglata ai tempi del governo Conte

Siamo in presenza, dunque, di un tramonto? In realtà, spiegano dal Mercator Institute for China Studies, «la Bri era, ed è tuttora, un quadro per incanalare le esigenze di politica interna ed estera della Cina. Pertanto, i mezzi e gli obiettivi cambiano spesso. Dal 2013, la Bri ha senza dubbio massimizzato l’influenza della Cina e l’ha trasformata in un partner economico in tutto il mondo in via di sviluppo». Non a caso, come ha scritto la Bbc, negli ultimi dieci anni, gli scambi tra la Cina e i Paesi Bri hanno superato i 19mila miliardi di dollari. La Bri è stata uno strumento funzionale agli obiettivi di Pechino: promuovere relazioni bilaterali finalizzare a saziare la fame energetica del gigante asiatico, da una parte, ad aprire i mercati alle aziende cinesi, dall’altra.

Che Xi sia pronto a cambiare strada e a modellare la sua politica sulle nuove esigenze mondiali lo testimonia quella che Willy Lam, del think tank statunitense Jamestown Foundation, definisce “una politica gentile”, che punta a frenare la fuga delle multinazionali straniere dalla Cina che, assieme alla crisi immobiliare e alla elevata disoccupazione giovanile, sta minando la salute economica del gigante asiatico. Più attenzione anche i Paesi del sud del mondo. Come sottolinea la Reuters, Pechino ha concordato con lo Sri Lanka di ristrutturare più di 4 miliardi di dollari del suo debito, ha stipulato un memorandum d’intesa con lo Zambia per un’operazione analoga e ieri ha annunciato uno swap sul debito con l’Argentina.

Basterà per allontanare le accuse rivolte alla Cina di praticare «la diplomazia della trappola del debito», vale a dire la politica di indebitamento a cui sono costretti i Paesi partner della Bri, per finanziare le infrastrutture ma che rischia di trasformarsi in una micidiale zavorra per le economie più fragili? Da questi fattori dipenderà «il prossimo decennio d’oro», come lo ha chiamato, con la consueta enfasi, Xi Jinping.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: