martedì 3 maggio 2016
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MILANO La Banca Popolare di Vicenza non può essere quotata in Borsa e questo complica ulteriormente la missione del fondo Atlante, che si propone di ristrutturare la banca e rivenderla (guadagnandoci) nel giro di un anno e mezzo. Il no di Borsa italiana, comunicato ieri pomeriggio, non è stato una sorpresa. Era evidente già venerdì scorso, quando si è chiusa l’operazione di aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro, che la banca veneta non era nelle condizioni per essere ammessa a Piazza Affari. La Borsa in genere richiede che sia “flottante”, cioè sul mercato, almeno il 25% del capitale di un’azienda. In questo caso invece sarebbe stato sul mercato meno del 3% della banca. Colpa del pessimo esito dell’aumento di capitale, al quale hanno partecipato in pochissimi. Come constata Borsa Italia, la Popolare di Vicenza si sarebbe trovata controllata al 91,7% dal fondo Atlante, al 4,97% da un «unico investitore (presumibilmente Mediobanca ndr.) indicato come non computabile ai fini del flottante », altri nove investitori istituzionali avrebbero avuto uno 0,1% mentre i soci che hanno comprato le azioni negli anni passati avrebbero il 2,8% e solo lo 0,36% apparterrebbe al «pubblico indistinto». Con una simile distribuzione delle azioni «non sussistono i presupposti per garantire il regolare funzionamento del mercato» conclude la Borsa che quindi considera decaduto il provvedimento di ammissione delle azioni della banca a Piazza Affari dello scorso 20 aprile. A questo punto Atlante, che si è sostituito a Uni-Credit come garante dell’aumento, dovrà fare da solo, cioè metterà l’intero miliardo e mezzo di euro per avere il 99,33% delle azioni e lascerà ai vecchi azionisti lo 0,67%. Dalle parti di Quaestio Sgr, la società che ha creato il fondo di sistema delle banche italiane, avevano qualche speranza di un esito diverso: dal momento che Atlante è tecnicamente un “organismo di investimento collettivo del risparmio” la Borsa avrebbe potuto non considerarlo un unico soggetto ma una sorta di veicolo di azioriato diffuso. Il tecnicismo non è passato, ma questo non sconvolge i piani di Atlante. La differenza di investimento non è certo enorme: se la Popolare di Vicenza fosse stata ammes- sa in Borsa l’esborso sarebbe stato inferiore di soli di 150 milioni (1,35 miliardi invece che 1,5). Già venerdì scorso, nella presentazione di Atlante al mercato, il presidente di Quaestio, Alessandro Penati, aveva abbozzato le possibili alternative alla Borsa: «Si può vendere la banca, fonderla, spezzettarla, magari quotarla a un prezzo più alto, fare una scissione dei crediti deteriorati». L’importante, nei piani del fondo, è riuscire a rendere la Popolare di Vicenza di nuovo redditizia per uscirne il prima possibile, in ogni caso entro 18 mesi. Con una nota Atlante ha confermato che «intende sostenere la ristrutturazione, il rilancio e la valorizzazione della Banca, avendo come obiettivo prioritario l’interesse dei propri investitori» ai quali ha promesso un rendimento significativo, nell’ordine del 6%. Ma è chiaro che questo intoppo aumenta le incognite sulle prospettive delle banche italiane. In Borsa dopo il no alla quotazione della Popolare di Vicenza è partita una raffica di sospensioni degli istituti di credito. UniCredit, che in Atlante ha messo 1 miliardo ma si è risparmiata gli 1,5 miliardi garantiti alla banca veneta, ha finito con il perdere il 3,6%. Intesa Sanpaolo, che ha messo anche lei un miliardo nel fondo e potrebbe chiedergli aiuto per la garanzia dell’aumento di capitale da 1 miliardo di Banca Veneto («si vedrà tra qualche giorno» se chiedere l’intervento di Atlante, ha detto ieri il Ceo Carlo Messina), ha perso il 2%. Malissimo anche la Popolare di Milano (-6%), che nel giro di due settimane dovrebbe presentare il piano di fusione con il Banco Popolare (-7,3%), il quale però ha bisogno — come condizione posta dalla Bce per il via libera all’integrazione — di un aumento di capitale da 1 miliardo (ma qui Atlante non dovrebbe servire, ha garantito l’amministratore delegato Francesco Saviotti). Pesanti anche il Monte dei Paschi (-5,5%), Carige (-5,3%) e Ubi (3,6%). Per Vicenza la buona notizia, se si può definire tale, è che risparmierà i 60 milioni di euro che avrebbe dovuto pagare alle sei banche che si sono occupate del collocamento. Dal momento che l’operazione è fallita ai coordinatori andrà solo un rimborso per le spese sostenute. «L’importante – ha commentato il Ceo di UniCredit Federico Ghizzoni – è che la banca sia in sicurezza». © RIPRODUZIONE RISERVATA I RIMBORSI Ieri a Firenze il premier Renzi è stato accolto dalle proteste di un gruppo di risparmiatori che hanno perso denaro comprando le obbligazioni delle banche salvate.
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