venerdì 19 febbraio 2021
In 15 anni il tasso di disoccupazione è passato dal 6% a oltre il 10% e le difficoltà di reperimento si sono alzate a livelli record
Il paradosso dei giovani che non studiano e non lavorano e dei posti vacanti

Il paradosso dei giovani che non studiano e non lavorano e dei posti vacanti - Archivio

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L'auspicata ripresa post-Covid rischia di essere frenata da un paradosso del mercato del lavoro italiano: alta disoccupazione associata alla difficoltà di reperire i posti di lavoro vacanti, da cui dipendono la qualità e la sostenibilità della ripresa stessa. Dal 2004 al 2019, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, cioè la mancata corrispondenza tra i requisiti richiesti dalle aziende e le competenze/qualifiche offerte dai lavoratori, ha subito un progressivo peggioramento: in 15 anni il tasso di disoccupazione è passato dal 6% a oltre il 10% e le difficoltà di reperimento si sono alzate a livelli record, in un divario tra domanda e offerta di lavoro sempre più profondo e complesso. È la fotografia del nuovo rapporto del Randstad Research, il centro di ricerca sul lavoro del futuro, intitolato Posti vacanti
e disoccupazione tra passato e futuro.


Nel periodo considerato, si contano 140mila contabili e 145mila muratori occupati in meno, 144mila magazzinieri e 77mila camerieri in più, sono aumentate, ma solo in una certa misura, alcune professioni
chiave, come specialisti in marketing (+92mila), analisti software (+86mila) e medici (+30mila), ma non si è risolta quella che appare la ragione principale della mancata corrispondenza: la carenza nella preparazione tecnico-scientifica e nell'istruzione di base, al primo posto tra i diversi ostacoli al reperimento di figure professionali evidenziati dalle imprese. E allora è urgente potenziare la formazione e aumentare il tasso di attività di giovani e donne per un mercato del lavoro più efficiente.

A fine 2019, rileva il Randstad Research, la cosiddetta curva di Beveridge (che rappresenta il rapporto tra posti vacanti e disoccupazione) ha mostrato il punto minimo dell'efficienza del mercato del lavoro italiano. Nel 2020 dell'emergenza Covid, il mismatch sembrerebbe essersi ridotto, ma non per una rinnovata efficienza, quanto per l'effetto combinato del blocco dei licenziamenti e dell'aumento degli inattivi, con minori posti vacanti per il ridimensionamento delle attività dei datori di lavoro. Uno scenario che evidenzia il rischio di frenare la ripresa post-Covid, se un rialzo della disoccupazione a seguito dello sblocco dei licenziamenti dovesse essere accompagnato da un aumento dei posti di lavoro vacanti.


«Crediamo che la persistenza della difficoltà di reperimento per alcune figure professionali - spiega Daniele Fano, coordinatore del comitato scientifico del Randstad Research - abbia rappresentato un ostacolo alla crescita italiana in passato. Dobbiamo imparare dai Paesi che hanno fatto meglio di noi a uscire dalla morsa di bassa crescita, bassa produttività, bassa occupazione che ha attanagliato l'Italia negli ultimi decenni. In questo senso, i piani di rilancio europei 2021-27 possono rappresentare un Piano Marshall per il lavoro: la sfida italiana per il matching tra domanda e offerta si vince con un radicale miglioramento dell'istruzione e della formazione, con l'aumento del tasso di partecipazione al lavoro delle donne, dei giovani e di tutti i cittadini in età adulta».

Nel dettaglio, negli ultimi 15 anni, il tasso di disoccupazione italiano è peggiorato, da un intervallo del 6-8% al 9-12%. Il mondo delle imprese è cambiato, è emerso in tutta la gravità il problema della disoccupazione giovanile e dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Anche se dal 2015 al 2019 l'Italia ha vissuto una "ripresina" con discesa dei disoccupati e coerente aumento dei posti vacanti, che però è stato troppo brusco: i posti vacanti in quegli anni sono più che raddoppiati. Da gennaio 2020 a novembre 2020, il tasso di disoccupazione è diminuito dello 0,72%, passando dal 9,59% all'8,87%, mentre il tasso di inattività nello stesso periodo è aumentato dell'1,1%, passando dal 34,74% al 35,85%.

L'analisi del Randstad Research sui posti vacanti anno su anno, per 16 settori economici, evidenzia soprattutto una forte variabilità. Durante la crisi economica 2008-2009, c'è stato un calo del tasso dei posti di lavoro non coperti in tutti i settori, ma la riduzione più forte è stata nei servizi dell'informazione e comunicazione (-0,55), nelle attività finanziarie e assicurative (-0,53) e nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (-0.98). Nel 2014-2015, invece, sono cresciuti soprattutto i posti vacanti dei servizi di informazione e comunicazione (+0,50) e nel 2016-2017 i servizi di alloggio e ristorazione (+0,8).

Nei 15 anni emerge, in particolare, una crescita dei posti vacanti nei servizi di informazione e comunicazione (+1,05) e nell'istruzione (+0,70), un evidente calo si registra nel commercio all'ingrosso e al
dettaglio, nella riparazione di autoveicoli e motocicli (-0,25) e nelle attività finanziarie e assicurative (-0,33). Confrontando la variazione tendenziale del Pil e la variazione del tasso dei posti vacanti per tre settori economici (servizi di alloggio e ristorazione, servizi di informazione e comunicazione e attività finanziarie e
assicurative), si nota che almeno graficamente la variazione del tasso dei posti vacanti anticipi una diminuzione o un aumento del Pil.

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