venerdì 8 marzo 2024
Introdurre incentivi per chi innova. Il presidente di Fondazione Cariplo: le fondazioni possono rappresentare una sorta di mediatore culturale
Un ecosistema dell'innovazione per far crescere la filantropia
COMMENTA E CONDIVIDI

Il networking è l’aspetto necessario affinché l’ecosistema delle fondazioni funzioni correttamente. Ne è stato un esempio la due giorni a Milano con 120 delegati internazionali, in rappresentanza delle organizzazioni filantropiche europee. Al centro il tema di come le fondazioni possano superare la logica a silos creando futuri ecosistemi di innovazione. In questo senso le fondazioni debbono provare a trasformarsi in “architetti” capaci di costruire ponti di innovazione. E hanno la necessità di lavorare in partenariato, in un ecosistema di competenze e buone pratiche che si genera grazie al lavoro delle persone. Al tempo stesso, tutto questo processo di trasformazione va narrato e comunicato meglio, in modo che i progetti che vengono finanziati e a cui danno vita siano più visibili nella nostra società. E ancora, nella progettazione dei meccanismi di finanziamento le fondazioni potrebbero introdurre incentivi per l'innovazione. Questi sono alcuni degli spunti emersi nella giornata conclusiva dell'incontro milanese legato alla filantropia europea, promosso da Philea, l'ente con sede a Bruxelles a cui aderiscono le fondazioni del continente, compresa Fondazione Cariplo.

«L’innovazione va declinata in modo diverso sulla base delle caratteristiche dei singoli Paesi e delle singole comunità. L'idea è di non avere una ricetta unica che vale per tutti, ma un metodo condiviso di affrontare i problemi, all'interno del quale le fondazioni possono rappresentare una sorta di mediatore culturale, capace di mettere in connessione il mondo pubblico e quello privato, che insieme al terzo settore sono i pilastri fondamentali dell'innovazione del futuro». Per il presidente di Fondazione Cariplo le sfide che attendono le fondazioni gravitano soprattutto attorno al tema delle diseguaglianze: «Da un lato occorre avere la capacità di creare lavoro e innovazione, in modo da rendere il più possibile inclusivo il sistema del lavoro, dall'altro si deve affrontare il tema delle disuguaglianze economiche, quindi i diritti fondamentali, la casa e il cibo. E infine un'attenzione molto forte deve essere posta al tema dell'ambiente, che è ancora un tema di disuguaglianza fra generazioni. Dobbiamo evitare che chi oggi popola la nostra terra comprometta le possibilità di chi la abiterà in futuro» aveva ricordato Giovanni Azzone, nel giorno di apertura del dibattito sulla filantropia che si è chiuso oggi, venerdì 8 marzo, a Milano. Obiettivo? Ragionare insieme sul contributo che le 186mila fondazioni in Europa possono dare all’avanzamento della ricerca applicata e dell’innovazione. Grande enfasi è stata posta sull’accelerazione del mercato, sul valore economico e sui profitti, tenendo sempre presente l’impatto e gli aspetti etici dei progetti che vengono finanziati attraverso le fondazioni. Da un lato ci sono fondazioni rinomate con budget consistenti, dall’altro fondazioni molto piccole con risorse modeste: i dati, però, non sono sufficienti e aggiornati e quello che ha dipinto Sevda Kilicalp, Head of Research and Knowledge Development di Philea è un quadro frammentario, con grandi differenze tra i vari Paesi europei. Stando agli Eufori study, la spesa totale in R&I da parte di 991 fondazioni è di 5 miliardi di euro: alla ricerca vengono destinati 4,5 miliardi di euro (90%), mentre all’innovazione solo mezzo miliardo di euro (10%).

Sostenere la ricerca di base e la ricerca applicata è sufficiente per fare innovazione? La connessione, tra chi ha trovato la ricerca, chi fa la ricerca e chi le trova un’applicazione sul mercato è punto critico e centrale. Se l’obiettivo è quello di convertire i risultati della ricerca in nuovi prodotti e soluzioni nel campo della mobilità condivisa, della robotica, dei dispositivi medici e di tecnologie green bisogna tenere conto che per il 40% del loro tempo i ricercatori si occupano di presentare progetti di ricerca e scrivere report, dei quali solo il 15% viene premiato da finanziamenti.

L’impatto sociale è predominante rispetto agli interessi commerciali. Ma che cosa si sta già facendo oggi, dalla ricerca e sviluppo al mercato, in tutto lo spettro dei capitali, nonché in termini di partnership? Una strada su questo punto l’ha indicata il professor Alberto Sangiovanni-Vincentelli dell’Università di Berkeley, in California che ha ricordato il programma Berkeley SkyDeck Europe, con sede a Milano, dedicato alle startup che possono accedere più facilmente alla vasta rete di investitori, consulenti, mentori e aziende che Berkeley SkyDeck ha costruito negli ultimi 10 anni, costruendo al contempo il proprio business in Europa e sfruttando un vero e proprio ecosistema di startup a livello europeo. Ne hanno usufruito, per citarne solo alcune, anche due start up italiane Switch – Street Witcher, piattaforma per l’analisi dei flussi e la gestione dello spazio urbano che permette alle città di prendere decisioni migliori sulla mobilità condivisa e agli stessi operatori di aumentare la redditività, e BiomimX, pioniera nella costruzione di organi con chip significa mettere a punto modelli miniaturizzati di organi umani fisiologici o patologici, ricreati in laboratorio.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: