martedì 31 ottobre 2017
La cordata Acerlor-Mittal fa un passo indietro. Soddisfatto Calenda ma resta la spaccatura con gli enti locali
Al Mise riparte la trattativa: restano gli esuberi ma non i tagli ai salari
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La trattativa sull’Ilva riparte con il piede giusto. Gli esuberi restano ma ArcelorMittal fa un passo avanti sul mantenimento dei livelli salariali e dei diritti acquisiti. Lo ha confermato la stessa azienda cui fa capo il consorzio Am Investco che ha acquistato Ilva dopo l’incontro di ieri mattina al ministero dello Sviluppo economico con governo e sindacati. Il gigante mondiale della siderurgia riconosce «l’attuale struttura salariale di Ilva, specificamente nelle parti fisse e variabili» si impegna «a rispecchiarla nella sua offerta relativa all’occupazione».

ArcelorMittal intende legare la parte variabile delle retribuzioni alla produttività e «riconoscere come un elemento della retribuzione» l’anzianità di servizio. Tre settimane fa la trattativa si era bloccata di fronte all’ipotesi, avanzata da Am Investco, di azzerare gli accordi preesistenti. Il costo medio del lavoro sarebbe passato da 50 a 42mila euro l’anno. Proposta considerata inaccettabile dai lavorati (che avevano fatto scattare immediatamente lo sciopero) ma anche dal governo.
Soddisfatto il ministro Carlo Calenda. «L’azienda ha confermato, oltre alle 10mila assunzioni, i livelli salariali attuali quindi il tavolo può ripartire». C’è l’impegno «al mantenimento della struttura salariale e dei livelli fissi della retribuzione, compresi gli scatti di anzianità, degli attuali diritti contrattuali e di legge» conferma il segretario generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli.
Il tavolo è riconvocato il 9 novembre per analizzare il piano industriale e il 14 per quello ambientale. Sia il sindacato che il governo sperano ancora di poter convincere ArcelorMittal ad ampliare il numero degli assunti. I circa 4mila lavoratori che resteranno fuori dall’accordo continueranno a dipendere dalla "vecchia" Ilva, e almeno fino al 2023 saranno impiegati nella bonifica ambientale della zona di Taranto, dove ha sede il più grande impianto siderurgico d’Europa.

Non si ricuce però lo strappo con gli enti locali, che lunedì avevano chiesto di partecipare all’incontro al Mise, ricevendo come contro-proposta l’apertura di un tavolo collaterale, e che confermano l’intenzione di ricorrere al Tar contro il decreto ambientale. «Convocherò un tavolo istituzionale con gli enti locali, cinque Regioni e, credo, 42 Comuni coinvolti dalla vertenza Ilva» assicura Calenda rinnovando la richiesta al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, di ritirare l’impugnativa del Dpcm sul piano ambientale perché «ci sono in ballo 5,4 miliardi, quasi una piccola Finanziaria». «Questa volta non si decide il futuro di Taranto senza i tarantini» è la risposta a stretto giro di posta del sindaco di Taranto, Riccardo Melucci che accusa Calenda di essere «schiacciato da interessi e problemi molto complessi».

Critiche anche dalla Cgil con Maurizio Landini, segretario della Cgil che invita il governo a fare di più. «Se sono vere le cifre fornite da Mittal rispetto ai volumi produttivi, é necessario che il negoziato parta da esuberi zero, considerando i livelli occupazionali attuali di 14mila dipendenti diretti e tutto l’indotto» sottolinea la Fiom dopo l’incontro chiedendo che «risanamento ambientale e questione occupazionale» vengano discussi in contemporanea.
Intanto per evitare che a Taranto succeda ancora quello che è capitato giorni fa con una coltre di polveri neri che ricopriva la città il Mise, d’intesa con l’amministrazione straordinaria, sta valutando la possibilità di anticipare i tempi per la copertura dei parchi principali, con una spesa di circa 400 milioni a carico di Am InvestCo, prima dei tempi previsti dal decreto ambientale.

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