mercoledì 28 giugno 2017
Per l'imprenditore della Silicon Valley, autore di un libro di successo, sarà inevitabile sganciare i redditi dal lavoro
L'imprenditore Martin Ford, autore del saggio Rise of Robots

L'imprenditore Martin Ford, autore del saggio Rise of Robots

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MILANO un libro terrificante quello che ha scritto Martin Ford, imprenditore della Silicon Valley che ha trovato successo mondiale come saggista esperto degli effetti sociali dell’evoluzione della robotica. Il suo Rise of Robots, pubblicato nel 2015 negli Stati Uniti e arrivato in Italia lo scorso aprile grazie al Saggiatore ('Il futuro senza lavoro', il titolo italiano), ha avuto uno straordinario successo di pubblico e anche di critica, vincendo tra l’altro il premio di libro di economia dell’anno per Financial Times e McKinsey. Ciò che lo rende terrificante sono sono le conclusioni a cui arriva il 'futurologo' Ford, che lunedì era a Milano per partecipare alla prima edizione del Bip Future Forum, l’appuntamento sull’innovazione organizzato dalla società di consulenza italiana Bip: l’evoluzione delle capacità cognitive delle macchine – oggi capaci non solo di svolgere le mansioni un tempo riservate all’uomo, ma anche di imparare e migliorarsi – rischia di rendere inutile la partecipazione umana in quasi ogni attività lavorativa. Comprese occupazioni più complesse come quelle dell’avvocato, o del medico e fino ad attività creative come la pittura.

Nel suo libro lo scenario di una società a bassissima intensità di lavoro sembra inesorabile. Ma nella storia dell’uomo abbiamo visto tante grande innovazioni tecnologiche e ogni volta l’umanità ha 'adattato' il mondo del lavoro alle novità. Non possiamo aspettarci che anche stavolta gli umani sapranno inventarsi nuove occupazioni a cui dedicarsi?
È l’obiezione che avanzano anche diversi famosi economisti: abbiamo avuto tan-È ti progressi tecnologici nei secoli, perché non siamo tutti disoccupati? Ogni volta abbiamo saputo adattarci al cambiamento, perché stavolta è diverso? Il punto è che stavolta le macchine hanno imparato ad imparare. Apprendere e adattarsi in base a ciò che si è imparato era un’attività tipica degli uomini. Grazie allo sviluppo delle capacità cognitive dell’intelligenza artificiale ora anche i robot possono farlo. Questo è il principale cambiamento dietro la rivoluzione in atto.

La sua analisi si concentra sull’evoluzione
tecnologica senza considerare altre forze che stanno cambiando il mondo del lavoro occidentale. Ad esempio la globalizzazione. Come si inquadra nella sua analisi la possibilità di spostare il lavoro da un continente all’altro?
Nel processo in atto, che 'lascia indietro' milioni di persone scontente e senza lavoro, in parte c’entrano le forze della robotica, in parte quelle della globalizzazione. Quelle della robotica però sono più forti. Quando le fabbriche sono altamente robotizzate gli occorrono pochissimi addetti. Questa situazione riduce drasticamente il vantaggio competitivo dei Paesi in cui i salari sono bassi, mentre diventa fondamentale l’accesso al mercato. La robotica sta già aiutando le aziende a riportare in patria la produzione.

Questa retromarcia della globalizzazione non rischia di 'lasciare indietro' intere nazioni povere, affollate di lavoratori resi 'inutili' dai robot?
Temo che sarà proprio quello che succederà. Nella storia i Paesi poveri si sono quasi sempre arricchiti costruendo fabbriche dove dare lavoro a persone con poca formazione. Ma con i robot non servirà più e francamente non so come le nazioni più povere potranno migliorare la loro condizione. In Paesi come Messico e Brasile vediamo che il processo di deindustrializzazione è iniziato prima ancora che il benessere si diffondesse tra la popolazione.

Nel suo libro arriva alla conclusione per fare funzionare questa società 'senza lavoro' gli Stati dovranno adottare redditi di base per tutti i cittadini.
Il rischio evidente è che la crescita delle ineguaglianze che ha contraddistinto gli ultimi quattro decenni acceleri ancora: se non occorre manodoperaper produrre chi ha i capitali per controllare le macchine ha tutto, chi ha da offrire il suo lavoro non ha quasi nulla. Per questo occorre sganciare, almeno in parte, i redditi dal lavoro. D’altra parte lo Stato, che per anni ha finanziato le ricerche che hanno portato all’evoluzione dei robot, ha un 'dividendo tecnologico' da rivendicare.

Ma le sembra una via realisticamente percorribile?
È chiaro che è molto complicato. Guardo con interesse agli esperimenti di reddito di base avviati in alcuni Stati, come in Finlandia. Nella Silicon Valley c’è addirittura un piano di reddito di base privato, lanciato dall’incubatore Y Combinator. Sono esperimenti importanti, perché ci aiutano a capire come possono funzionare questi sistemi. Ad esempio per capire come reagiscono le persone: il reddito di base non deve spegnere gli incentivi a lavorare e a fare qualcosa di produttivo. Dobbiamo evitare che chi lo riceve resti a casa a giocare ai videogiochi.

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