lunedì 28 aprile 2014
Dall'indagine si rileva il peggioramento delle condizioni generali di lavoro negli ultimi due decenni. Generati tre nuclei specifici tra gli autonomi: i precari, quelli con scarse tutele e gli affermati.
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Dipendenti, autonomi o parasubordinati? La classificazione dei circa 3,4 milioni di lavoratori con partita Iva individuale senza dipendenti e di tutto il mondo delle collaborazioni (occasionale o a progetto) è spesso difficile, perché dietro a questo forme contrattuali, si nascondono spesso mansioni e tipologie di lavoro molto diverse. Una ricerca Ires sfata alcuni luoghi comuni su questa categoria di lavoratori.Dall'indagine emerge chiaramente, invece, come il peggioramento delle condizioni generali di lavoro negli ultimi due decenni, abbia generato tre nuclei specifici tra i professionisti autonomi: i precari, quelli con scarse tutele e gli affermati. Il lavoro autonomo non è più lo stesso perché la capacità di contrattare del singolo professionista nei confronti dei propri committenti non è più in equilibrio e, infatti, il 58,4% di loro dichiara una possibilità pessima o insufficiente di riuscire a contrattare le condizioni di lavoro. I processi di cambiamento degli ultimi decenni hanno indebolito i rapporti di forza che consentivano al singolo professionista o lavoratore autonomo di poter agire sul mercato con sufficiente capacità contrattuale.I professionisti precari sono attorno al 20% del totale, e vivono le caratteristiche di abuso non solo per via dell’imposizione all’apertura della partita Iva, ma anche perché ricorrono spesso modalità di svolgimento della prestazione tipica del lavoro subordinato. E 13,7% si sente, infatti, un lavoratore dipendente non regolarizzato con punte più elevate, soprattutto nell’area gestionale-amministrativa (21,9%), in quella socio-sanitaria (21,8%), nell’informazione ed editoria (21,7%).I professionisti a bassa tutela, sono circa due terzi del totale autodefinitosi come "liberi professionisti con scarse tutele" (68,5%). E’ il gruppo più numeroso e, quindi, fortemente trasversale a tutte le aree professionali e alle classi di età, con l’incidenza più elevata nelle aree della cultura e spettacolo, degli interpreti e dei traduttori e nell’area giuridica.Pur rilevando una reale autonomia nello svolgimento della prestazione, affrontano la propria attività professionale accettando le condizioni di mercato in cui operano ma con pochi strumenti di governo, protezione sociale e, soprattutto, con poche capacità di contrattazione con i propri committenti (58,4%). Questi sono i professionisti che soffrono di più l’erosione della sicurezza sociale e della mancanza di strumenti legislativi, professionali o contrattuali aggiornati.I professionisti affermati. Il terzo insieme emerso dall’indagine è identificabile nei lavoratori autonomi e “liberi professionisti affermati” (17,8%) che pur potendo vantare modalità di svolgimento della professione e di soddisfazione economica migliori del resto dei professionisti, soffre la necessità di accedere più facilmente a diritti di cittadinanza e, in particolare, ad un maggior riconoscimento professionale, alla necessità di definire gli standard di riferimento dell’esercizio della professione o di avere un sistema di certificazione delle competenze.La presenza più elevata si riscontra soprattutto nell’area socio-sanitaria, gestionale amministrativa, economica e tecnica. In questo gruppo la componente maschile è prevalente (il 70,5% di loro) e l’età è la più elevata (il 64,3% ha più di 45 anni).Secondo i dati dell'indagine Ires, diffusa con la presentazione dell'avvio della ricerca 'Vita da professionisti', i titoli di studio degli intervistati sono molto elevati: il 79,6% ha almeno la laurea e il 17,1% anche una specializzazione, master o dottorato. L'età media è di 42 anni e i professionisti sono distribuiti in tutta Italia, con una certa prevalenza al Nord.
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