sabato 18 aprile 2020
Una lettera dei promotori del "Manifesto": la ripresa deve essere orientata a valorizzare un’economia e una società più a misura d’uomo e rivolta al futuro
Assisi dà voce alla speranza: «Nessuno si salva da solo»
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«I ritardi e le pigrizie di ieri non sono più accettabili se vogliamo superare questa crisi. Dipende anche dal concreto impegno di tutti costruire un mondo più pulito, civile, gentile». Si conclude così la lettera che i promotori del "Manifesto di Assisi per un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica" hanno inviato agli oltre tremila firmatari (imprenditori pubblici e privati, uomini di cultura e di Chiesa, giornalisti), del documento presentato il 25 gennaio nella città di San Francesco. Una lettera che guarda oltre l’emergenza Covid-19.

«Molte lezioni di questi giorni difficili non andranno dimenticate. La centralità della sanità e della ricerca, la necessità di rafforzare alcune politiche pubbliche, la rivalutazione del sistema agroalimentare e della distribuzione, il ruolo che possono svolgere lo smart-working e la formazione a distanza anche in futuro, l’importanza sia ora sia ancora più nell’avvenire del buon funzionamento delle infrastrutture basilari». Lo scrivono il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci, il Custode del Sacro Convento di Assisi, padre Mauro Gambetti, il direttore della rivista San Francesco, padre Enzo Fortunato, il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, gli Ad di Enel, Francesco Starace e di Novamont, Catia Bastioli, il presidente uscente di Confindustria, Vincenzo Boccia (tra i firmatari c’è anche il neo presidente, Carlo Bonomi).

Si parte dall’analisi di questi giorni. «Siamo oggi tutti impegnati a lavorare insieme per fermare questa terribile epidemia, rispettando istituzioni e comunità, aiutando persone e imprese. Un impegno che non ammette diserzioni, perché "nessuno si salva da solo". E nessuno può essere lasciato indietro». È lo stesso spirito col quale si guarda al dopo epidemia. E lo si fa citando Papa Francesco. «Dobbiamo lavorare – scrivono i promotori del Manifesto – perché la necessaria ripresa della vita, nel nostro come in altri Paesi, sia orientata a valorizzare un’economia e una società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro. Uno dei paragrafi più importanti e coraggiosi della Laudato Si’ afferma: "La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale"».

«Un passaggio efficacissimo – riflette Realacci –. E sono sicuro che se l’avesse scritta oggi, il terzo punto sarebbe stata l’epidemia». Un rischio molto concreto, dunque. Ma, si legge ancora nella lettera, «esistono le condizioni perché questo non accada, perché con responsabilità e concretezza si imbocchi una strada nuova, perché "non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia"». Una citazione del Manifesto. Un messaggio positivo perché «abbiamo già visto mobilitarsi parti importanti della società, delle istituzioni, delle imprese, dei saperi in uno sforzo comune. Pensiamo sia necessario non disperdere queste energie ma sia bene censirle, chiamarle a raccolta, evocarne di nuove. Abbiamo un’opportunità che consiste nel provare a ripartire impostando sin da ora il domani dell’Italia secondo un modello di sviluppo diverso e migliore». Ma non basta «un necessario e imponente intervento pubblico». Servono «le risorse delle persone e delle imprese», «un ruolo forte del terzo settore», «una valorizzazione delle istituzioni locali a partire dai piccoli comuni».

Per rendere però tutto questo "efficace", avverte la lettera, «è necessario indirizzare l’azione dello Stato verso una rapida e massiccia opera di semplificazione e sburocratizzazione. Esistono spesso già strumenti legislativi sottoutilizzati che possono attivare ingenti risorse private. Anche quando esistono importanti risorse pubbliche, come è il caso della ricostruzione per il sisma che ha colpito l’Italia centrale, si accumulano ritardi per l’incapacità di decidere: un insulto che non possiamo più permetterci». Questo, precisa Realacci, «non vuol dire abbassare i paletti o promuovere gli ennesimi condoni. Lo Stato è tanto più forte e autorevole quanto più è semplice. Ma semplificare non ha nulla a che vedere col "tana libera tutti"».

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