venerdì 3 ottobre 2014
​La Bce lancia il piano Abs. Acquisti del debito privato da metà ottobre. E ritorna la speculazione.
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Anche l’ultima parte del grande piano per il credito annunciato a giugno dalla Banca centrale europea è pronta. Nella riunione di ieri a Napoli il consiglio direttivo della Bce ha approvato i dettagli del programma di acquisti di Abs (asset-backed securities, titoli derivati in cui le banche impacchettano crediti) e covered bond (obbligazioni garantite). Potenzialmente, ha spiegato il presidente Mario Draghi, nei due anni del piano la Bce potrebbe comprare titoli per 1.000 miliardi di euro. Sommandoli ai 460 miliardi di euro che le banche potrebbero chiedere a Francoforte – al tasso minimo dello 0,15%, ma a patto che i soldi finiscano alle imprese – nell’ambito della prima fase dell’operazione Tltro, si può dire che la Bce ha schierato un arsenale monetario da 1.450 miliardi di euro per rilanciare il credito nella zona euro e spingere l’inflazione – che a settembre è scesa ancora, fino allo 0,3% – perché si riavvicini al 2%, come prevede il suo mandato. Gli acquisti di obbligazioni garantite inizieranno già a ottobre, quelli di Abs prima della fine dell’anno. La Bce è stata la più "inclusiva" possibile: comprerà titoli basati sui debiti privati, ma non quelli delle banche, sia sul mercato delle nuove emissioni che in quello dei titoli già in circolazione. I criteri con cui sceglierà gli Abs e i bond sono più o meno gli stessi coi quali oggi accetta questi titoli come garanzia per finanziare le banche, a partire dal rating: devono avere un secondo miglior rating almeno a livello BBB-. C’è una deroga per i titoli che arrivano da Cipro e dalla Grecia, che non arriverebbero a quei livelli. Non c’è molto di più che la Bce possa fare per agevolare una ripresa «che frena», secondo Draghi, tanto che «la recessione sembra non finire mai. Parole che hanno spaventato i listini, insieme alle mancate indicazioni su una possibile tempistita del vero e proprio Quantitative easing, facendo crollare Milano (-3,76%). Il consiglio direttivo ha confermato, all’unanimità, la disponibilità a usare nuove armi non convenzionali. Un massiccio allentamento quantitativo con acquisti di titoli di Stato attraverso nuova moneta resta dunque un’ultima risorsa sul tavolo. La Germania e gli altri "falchi" dell’euro, che già hanno criticato pubblicamente le iniziative su Abs e bond, faranno di tutto per evitare che la si usi. Il fatto è che la Bce, Draghi lo ha ricordato di nuovo, non può portare la crescita con la sola politica monetaria. Può rendere migliori le condizioni di finanziamento, ma tocca ai governi spingere la debolissima (quando c’è) ripresa. I leader europei possono agire su due livelli: facendo le riforme e usando al meglio gli spazi di manovra sui conti consentiti dai patti europei. Interrogato sul primo punto, quello delle riforme, Draghi ha fatto un esempio calibrato sull’Italia: «Un giovane imprenditore deve aspettare nove o dodici mesi per aprire un negozio. E mentre aspetta di potere aprire le tasse lo tormentano. Per questo chiediamo riforme strutturali». Sul secondo punto, quello dei conti pubblici, Draghi ha mostrato di non apprezzare affatto la pressione francese contro il rigore. Il presidente della Bce ha ricordato che il Consiglio europeo, l’organismo dei capi di governo nel quale – ha sottolineato Draghi – ha un posto anche François Hollande, ha raccomandato al governo francese di procedere con la correzione di bilancio per il 2015. Per ora il numero uno della Bce non si esprime oltre: aspetta metà ottobre, quando ogni paese europeo consegnerà la bozza della sua legge finanziaria. Non è che la Bce voglia imporre ai governi le sue condizioni, ha voluto chiarire Draghi: «Non c’è nessuna trattativa tipo "se voi fate questo noi facciamo quest’altro". Ma noi diciamo che le nostre misure saranno più efficaci se accompagnate da altre misure sulle quali possono agire i governi. Ognuno ha il suo ruolo». Anche perché, ha aggiunto il banchiere centrale italiano, «i paesi che devono fare le riforme hanno bisogno di farle comunque, siano dentro o fuori dall’euro. Anzi, oserei dire, anche se su questo non c’è controprova, che fuori dall’euro queste riforme sarebbero più difficili da completare».
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