sabato 21 febbraio 2015
Per Cetti Galante, ad di Intoo (nella foto), restano ancora diversi nodi da sciogliere. Stefano Scabbio (presidente Assolavoro): «Premiare gli operatori che effettivamente riportano le persone a una nuova occupazione».
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Il contratto di ricollocazione (art.17) rappresenta una vera innovazione nell’ottica di ribilanciare finalmente in Italia le risorse impiegate sulla politica passiva (la nuova Aspi – denominata Naspi, Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) con quella attiva, che si affianca da subito per supportare il lavoratore disoccupato nella ricerca di una nuova occupazione. La partecipazione attiva al contratto di ricollocazione è anche condizione essenziale per l’erogazione del sussidio, anche se ancora non sono chiari i meccanismi attuativi della condizionalità, essendo il fondo per le politiche attive rimasto sotto la competenza del Ministero del Lavoro anziché passare sotto l’Inps.Il contratto di ricollocazione è, quindi, finalmente al centro delle nuove politiche attive del lavoro del Jobs act e rappresenta per le persone disoccupate un’occasione preziosa come strumento per realizzare lo spirito di flexsecurity che caratterizza questa riforma, che vuole ridurre il più possibile i tempi di permanenza fuori dal mercato del lavoro e il conseguente rischio di marginalizzazione.Tuttavia, l’attuale quadro normativo di riferimento deve essere precisato e chiarito al più presto in alcuni passaggi per evitare di compromettere i risultati conseguibili con l’introduzione di questo contratto, in primis a tutela delle persone che nel ritorno al lavoro ritrovano la propria dignità piena di individuo sociale, ma anche per un risparmio delle risorse dello Stato, grazie all’abbreviarsi dei tempi di reinserimento.Restano, infatti, aperti diversi temi: l’accreditamento degli operatori privati – da affrontare e risolvere nell’ambito del raccordo di competenze Stato/Regioni in materia di politiche attive anche alla luce della nuova Agenzia nazionale per l’occupazione e delle più ampie riforme costituzionali - il coinvolgimento degli operatori più corretti secondo i diversi target di lavoratori; la profilazione dei candidati che deve accogliere anche parametri di attitudine e di capacità possedute, oltre che oggettivi; il valore della dote che non dovrebbe essere retribuito interamente a risultato per evitare la concentrazione solo sui profili più collocabili e che deve essere comunque liberamente integrato dall’azienda che licenzia, per consentire, dove serve, l’impiego di professionisti e tecnologie di alta qualità.La cosa più importante è comunque che questo contratto sia ricondotto per le sue caratteristiche di processo alle caratteristiche proprie del servizio di outplacement. Questo è indispensabile soprattutto per i target più complessi (per età, esperienza manageriale o imprenditoriale di livello)."Lo conferma - spiega Cetti Galante, ad di Intoo - la mia esperienza quotidiana alla guida di Intoo, la società di Gi Group leader in Italia nel supporto alla ricollocazione professionale,  che ogni anno riporta nel mercato del lavoro circa 3mila persone. Un risultato di ricollocazione pari all’85% delle persone a noi affidate in poco più di sei mesi medi si spiega solo con un’assistenza personalizzata, intensiva, continuata nel tempo, che sia avvale di tecnologie in continua evoluzione, di consulenti di grande esperienza nei diversi settori merceologici, di un network globale per aprire anche su opportunità in altri Paesi e di tanta perseveranza. Pensando al contratto di ricollocazione è fondamentale, dunque, il valore della dote, che deve variare a seconda della spendibilità sul mercato, ma anche del livello professionale, essendo le esigenze di operai, impiegati, manager o imprenditori completamente diverse e dunque diversi gli strumenti e le risorse impiegate nel percorso di outplacement. Riteniamo anche che siano necessari alcuni aggiustamenti rispetto all’impianto attuale, secondo il quale il voucher potrà essere riscosso dall’operatore privato solo a risultato ottenuto. Sia chiaro: nessuno intende mettere in discussione il principio della premialità, che deve rimanere l’architrave di tutto il sistema. Tuttavia è necessario considerare che gli operatori dovranno potersi dedicare con la giusta costanza e dedizione ai profili più complessi e svantaggiati. Tutto ciò richiederà tempo e risorse ed è francamente impensabile che si  possa lavorare per mesi senza il riconoscimento di alcun compenso intermedio". La cosa più importante, comunque, è non tradire lo spirito della riforma: un’assistenza secondo le migliori tecniche del settore, che abbrevi i tempi di reinserimento e favorisca il rientro nel mercato del lavoro di una percentuale altissima di disoccupati può essere efficace solo se tutti i soggetti esperti di ricollocazione possono lavorare ricevendo il giusto compenso per l’attività che esercitano. Il processo di outplacement non è un puro matching su posizioni disponibili, ma è un processo che lavora sulla persona, rafforzandola, mettendola in condizioni di comprendere tutte le sue potenzialità a 360° nel mercato del lavoro target (del microterritorio, regionale, nazionale o globale), di usare gli strumenti di comunicazione corretti (dal cv ai social media, al networking e al personal branding) per veicolare al mercato del lavoro il proprio progetto professionale, di preparare adeguatamente i colloqui di lavoro, attraverso simulazioni, uso del web e piattaforme tecnologiche, di scegliere la migliore opportunità, sempre accompagnati da consulenti di livello, certificati nel mestiere del supporto alla ricollocazione professionale da anni di lavoro a fianco delle persone. Per non perdere questa storica occasione Cetti Galante si augura ci possano essere "concreti correttivi ispirati all’esperienza dell’outplacement in Italia in tempo utile per l’emanazione definitiva del decreto o al massimo nell’ambito dei provvedimenti immediatamente successivi sulla riforma dei servizi per il lavoro".Anche per Stefano Scabbio, presidente di Assolavoro, l'Associazione nazionale delle Agenzie per il lavoro, la riforma del lavoro ha un impianto "sicuramente positivo", tuttavia sul versante della ricollocazione dei lavoratori "si corre il rischio di replicare il flop di Garanzia giovani". "La frammentazione di procedure e modalità, regione per regione, assieme alla confusione generata da alcune di esse, è stata finora una delle cause del mancato raggiungimento degli obiettivi definiti con Garanzia giovani. Ora quella stessa frammentazione rischia di determinare un fallimento anche per la ricollocazione", spiega, infatti, aggiungendo, poi, che "20 differenti contratti di ricollocazione con venti differenti modalità operative rischiano di generare nuova confusione e di ridimensionare fortemente l'apporto di operatori specializzati e qualificati, come le Agenzie per il lavoro, che operano, per legge, in più regioni".Opinione di Scabbio è che il processo di ricollocazione debba "essere inclusivo, riguardare tutti. Abbiamo chiesto noi, e da molto tempo, di ragionare in un'ottica di risultato, premiando quegli operatori che effettivamente riportano le persone a una nuova occupazione. Non prevedere il riconoscimento di una parte delle attività anche per il solo servizio posto in essere, però, finisce per determinare un effetto indesiderato". E aggiunge: gli operatori presenti sul mercato "finiranno per concentrare servizi e attenzione sui candidati più facilmente ricollocabili. Si tratta di un rischio che va assolutamente scongiurato, altrimenti le regioni dovranno spiegare a quanti cercano un lavoro e non sono facilmente ricollocabili, perché hanno deciso di escluderli dal processo", conclude il presidente di Assolavoro.
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