martedì 24 maggio 2022
Dato superiore alla media nazionale, ma negli ultimi vent'anni il divario economico e demografico con il resto del Paese è aumentato. Nel Pnrr si punta su logistica e turismo
Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli

Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli - Fotogramma

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«Se non riparte il Mezzogiorno non riparte il Paese e il Pnrr rischia di rimanere una lista di desiderata». È il monito lanciato dal presidente di Confcommercio Carlo Sangalli nel corso del convegno dedicato al Pnrr e al Mezzogiorno che si è tenuto oggi a Bari dal titolo "Opportunità e rischi connessi alla realizzazione del Pnrr, il ruolo del partenariato economico, sociale e territoriale". «Se il Pnrr non funziona – ha sottolineato Sangalli – chi ha più da perdere è proprio il Mezzogiorno. Anche perché secondo i dati del nostro Ufficio studi dal 1996 al 2019 il Pil del Nord ha fatto registrare una crescita di oltre il 20 per cento, mentre il Sud si è fermato al 3,3%. Ancora più marcato è il dato sull'occupazione: Nord +0,3%, Sud -0,8%».

Nel 2022 in realtà ci sarà una piccola inversione di tendenza: il Pil del Mezzogiorno crescerà del 2,8% contro una media italiana del 2,5%, alla pari con il Nord-Est e superiore alle altre aree del Paese in base ad un'analisi dell'Ufficio Studi di Confcommercio. «Ma non è certo con una manciata di decimali – si legge nel report –, per di più confinata a un singolo anno, che i divari tenderanno a chiudersi. Il Sud potrà recuperare un bel pezzo del terreno perso grazie al Pnrr e il Pnrr potrà restituire all'Italia smalto economico e sociale solo se il Sud tornerà a funzionare a pieni giri. Le due cose sono inscindibili».

Guardando al tasso di variazione del Pil nel periodo 1996-2019 delle macro-ripartizioni Nord e Sud, lo scarto è di quasi 17 punti percentuali: il Nord è cresciuto del 20,1%, il Sud del 3,3%. Ma da cosa dipende questo scarto? Da tre fattori: produttività del lavoro, che varia di quasi il 10% al Nord contro il 6,2% nel Mezzogiorno; il tasso di occupazione (+0,3% al Nord e -0,8% al Sud); e, infine, la popolazione residente, il Nord cresce del 9,3% come abitanti, quelli del Sud scendono del 2%. Dal 2007 a oggi sono "scomparse" dal Sud 800mila persone. Anche il Nord – si legge nella relazione – presenta oggi qualche problema sul piano dei flussi interni: fino agli anni '90 l'emigrazione da Sud a Nord allargava la base produttiva delle Regioni italiane più ricche e produttive, oggi dal Nord stesso si emigra verso altri Paesi. Per quanto riguarda il tasso medio di occupazione delle donne, se il Centro-Nord si avvicina al resto d'Europa, il Sud ne resta troppo lontano, soprattutto nella componente femminile. Per il direttore dello Svimez, Luca Bianchi, "la chiave" perché il Pnrr incida sullo sviluppo del Mezzogiorno è «lavorare sugli strumenti che vedono protagoniste le imprese». Il ministro per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna ha assicurato che le ingenti risorse che arrivano dall'Ue verranno utilizzate per ridurre i divari nelle infrastrutture, nei servizi, nei diritti, nelle opportunità, nel tessuto economico e produttivo. «La scelta di destinare alle regioni del Mezzogiorno almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente è indicativa». In particolare sono due le sfide su cui si punta: la logistica, con il potenziamento delle piattaforme esistenti e il turismo, in particolare quello degli stranieri ancora "sotto-sviluppato al Sud".«La sfida è quella di accompagnare il turismo straniero nel Mezzogiorno a tornare, non al 2,3% dei consumi sul territorio come nel 2019, ma di avvicinarsi al resto del Paese che ai valori pre-pandemici certamente tornerà» si legge nell'analisi dell'Ufficio studi Confcommercio.

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