sabato 1 agosto 2020
Coprono il 15% delle vendite al dettaglio e si avviano a superare il 20% nei prossimi anni
Come cambia l'acquisto con l'online
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La bancarella è l’immagine più semplice del mercato: un luogo dove chi offre appoggia la merce in bella vista e chi passa può guardare, valutare, comprare o passare oltre.

Negli ultimi anni si sono sviluppate le bancarelle digitali, siti internet dove sono esposte offerte di beni, servizi, informazioni a beneficio di chi li visita e può acquistare o cambiare videata e passare ad altro. Sono le cosiddette piattaforme, animali nuovi nella savana dei mercati. Oggi coprono circa il 15% delle vendite al dettaglio e secondo molte fonti si avviano a superare il 20% nei prossimi anni. Le piattaforme digitali non hanno certamente sostituito i mercati fisici, anche perché alcune transazioni richiedono la presenza fisica per essere perfezionate, ma sicuramente li hanno cambiati, a volte arricchiti, altre volte danneggiati o addirittura distrutti.

Come in zoologia, la prima cosa da fare per comprendere le piattaforme digitali è capirne la natura, il loro DNA economico. Si intravedono tre specie: una è molto rara e ha un peso irrilevante nell’economia, sono le piattaforme autogestite da gruppi di persone per facilitare scambi, come accade per i gruppi di acquisto solidale in cui ci si unisce per comprare beni a prezzi scontati sfruttando l’effetto quantità.

Una seconda tipologia di piattaforme è quella in cui offerte provenienti da soggetti diversi vengono esposte sul sito a beneficio di potenziali acquirenti: la piattaforma gestisce lo scambio, raccoglie i dati dei contraenti (un fatto che può portare a problemi di privacy e abuso di mercato) e trattiene una commissione, in genere compresa fra il 10 e il 30% del valore della transazione. Si chiamano Uber (scambio di passaggi in auto a pagamento), Airbnb (scambio di appartamenti), Booking (scambio di prenotazioni turistiche), Flixbus (scambio di posti bus per lunghe percorrenze), Blablacar (scambio di passaggi auto con condivisione spese), TaskRabbit (scambio di lavoretti), Amazon e Ebay (scambio di beni fisici), Foodora (offerta e domanda di consegne di cibo a domicilio).

Infine, c’è una terza tipologia di piattaforme che fanno incontrare offerta e domanda di informazioni: sono i giornali on line (in cui c’è un offerente e tanti utenti) e i social media come Facebook, Twitter, Instagram in cui tutti possono, verrebbe da dire purtroppo, esporre le proprie informazioni e tutti possono usufruirne.

In comune queste tre tipologie di piattaforme hanno una qualità che ci riporta a Ronald Coase, l’economista che teorizzò i costi di transazione come uno dei principali ostacoli allo sviluppo del mercato. Le piattaforme abbattono o a volte annullano i costi di transazione (cercare, informarsi, spostarsi, incontrare, valutare, pagare), permettendo a mercati dormienti e a beni inutilizzati ma disponibili che non trovano sbocco di diventare accordi di mercato e generare valore,

Le piattaforme digitali sono entrate di prepotenza nei mercati tradizionali, spesso distruggendoli, come è accaduto alle agenzie di viaggio, ai negozi di musica e in parte alle librerie; in altri casi hanno trovato una opposizione durissima da parte degli operatori tradizionali che sono riusciti a bloccarle, come è successo nella lotta fra i taxisti e Uber, o a limitare i danni, come nel conflitto fra hotel e Airbnb. In altri casi i tentativi di bloccare l’innovazione è fallito: i gestori delle linee di autobus non sono riusciti a bloccare Flixbus.

L’innovazione non può essere bloccata , ma certamente va regolata, e con regole che non possono essere un copia incolla di quelle esistenti, altrimenti le prime automobili non avrebbero mai potuto circolare.

*Franco Becchis è direttore scientifico della Turin School of Regulation e dell'Osservatorio sulla regolazione dei mercati digitali.

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