martedì 31 luglio 2018
A giugno le assunzioni battono le cessazioni. Avanzano i nuovi contratti a tempo determinato (+29%), il lavoro intermittente (+25,2%) e l'apprendistato (+19,8%)
Più occupati nelle piccole imprese
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Le assunzioni battono le cessazioni. Seguendo una tendenza consolidata da più di due anni anche a giugno l'incremento complessivo delle assunzioni è stato trainato dai contratti a tempo determinato che, applicati al 62,8% dei nuovi assunti, hanno segnato un +14,2% rispetto a giugno 2017. Anche i contratti a tempo indeterminato hanno rimarcato un vistoso aumento (+26,4%) rispetto a 12 mesi prima ma sono stati applicati a una quota leggermente inferiore (12,8% del totale).

Sul fronte delle cessazioni, solo i contratti a tempo indeterminato hanno incassato una riduzione (-5,7%), in linea con l'andamento annuale: in un anno la quota di contratti a tempo indeterminato cessati si è ridotta di quasi cinque punti, scendendo dal 34,9% del 2017 al 30,2%. Segno, probabilmente, di un clima economico favorevole che ha condotto a consolidare le posizioni degli occupati in permanenza.

Complessivamente, l'aumento su base annua dell'occupazione nell'artigianato, le micro e le piccole imprese è stato spinto dai nuovi contratti a tempo determinato (+29%), dal lavoro intermittente (+25,2%) e dall'apprendistato (+19,8%). Al contrario, l'occupazione a tempo indeterminato è arretrata del 6,9%. Il peso dei contratti a tempo indeterminato nella platea complessiva dell'occupazione nelle piccole imprese italiane negli oltre tre anni e mezzo monitorati è calato dall'85,1 al 63,3%. Il tempo determinato è cresciuto dal 6,9 al 23,8%. L'apprendistato dal 5,4 al 9,7%. E il lavoro intermittente dal 2,5 al 3,2%.

Ora la grande incognita del decreto Dignità. Ma ora i nuovi equilibri politici come potranno incidere sul mercato del lavoro? Con l'approvazione del cosiddetto dl - si legge nelle conclusioni dell'Osservatorio lavoro Cna - il legislatore ha reintrodotto l'obbligo di causale per le assunzioni con contratto a termine che superino i 12 mesi e ha ridotto il termine di durata massima da 36 a 24 mesi. In assenza di un quadro congiunturale sufficientemente consolidato, è improbabile che le attuali posizioni a termine possano essere trasformate in posti di lavoro permanenti. Appare più plausibile che le imprese continueranno a utilizzare soprattutto i contratti a tempo determinato sia per inserire nuova manodopera nei processi produttivi sia per prorogare quella in essere. Ed è anche verosimile che il ricambio dei lavoratori possa procedere con maggiore frequenza - conclude lo studio - proprio in conseguenza della riduzione della durata massima dei contratti a tempo determinato.

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