mercoledì 22 giugno 2022
Il presidente degli industriali in missione in Ucraina: siamo la prima associazione europea di imprese a venire qui, è necessario sostenere l’economia e guardare alla ricostruzione
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria - Ansa

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«Sono ore complicate, anche sul piano personale. Ho appena visitato a Bucha la chiesa di Sant’Andrea: lì hanno seppellito 116 persone, sono immagini che ti segnano», risponde al telefono Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. E la sua voce per un attimo si incrina: «Ma bisogna guardare avanti – riprende –, qui ho incontrato 200 bambini sfollati che non hanno nemmeno una scuola. Per aiutarli entro settembre ho preso un impegno personale».

Siete la prima associazione europea di imprese a venire in Ucraina?

Sì, la prima, con incontri tutti di altissimo livello, dal presidente Zelensky e dal suo consigliere economico a una serie di ministri. Stavolta l’Italia ha lavorato di sistema, con lo stesso spirito della missione politica appena svolta dal premier Draghi. Cioè con il pensiero che solo con la libertà e la democrazia si può avere uno sviluppo economico e sociale, rispetto al quale le filiere industriali sono un forte traino. E l’ambasciatore Zago ci ha dato davvero un grande supporto.

Quali reazioni avete trovato da Zelensky e dagli altri interlocutori?

Gli italiani sono molto apprezzati. Il Paese ha necessità di sostenere l’economia davanti a un crollo atteso del Pil di almeno il 40%. E nei territori non segnati dal conflitto stanno già ricostruendo tutto. Abbiamo focalizzato molto gli incontri sulle disponibilità delle imprese italiane, fin da subito. Qui hanno bisogno di ingegneri, ma anche di fondi visto che il loro export è bloccato e le entrate fiscali ridotte al lumicino. Noi apriremo una nostra rappresentanza diretta: abbiamo necessità di corsie dirette per promuovere progetti congiunti, sbrigare pratiche amministrative, specie nelle future zone franche. Nel ripensare le catene del valore aggiunto, per un’impresa, l’Ucraina può essere molto interessante, a partire dal porto di Odessa. Anche per tutte queste ragioni ritengo sia importante che il governo sostenga la candidatura dell’Ucraina all’ingresso nella Ue, che non è un fattore che va a inasprire il conflitto.

La settimana scorsa diverse imprese italiane erano presenti al forum economico di San Pietroburgo. La diplomazia imprenditoriale è a 360 gradi?

Va specificato: lì era presente il direttore generale di Confindustria Russia che è indipendente rispetto a noi. C’erano inoltre rappresentanze degli Usa, di Francia, Canada e molti altri Paesi. In ogni caso, bisogna capire che la diplomazia economica è un pezzo importante di quella politica per raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo. Che devono essere quelli di costruire un mondo non basato ancora su grandi blocchi contrapposti, come gli Stati Uniti e la Cina con una Russia ancillare, ma che tenga dentro tutti con la possibilità di avere accesso alle commodities per tutti, specie per un Paese trasformatore come l’Italia.

Che cosa ha capito di più e meglio della guerra?

Qua si percepisce meglio il pericolo dei nazionalismi. O il fatto che con i russi si è creata una grossa frattura nella popolazione ucraina. Dobbiamo tutti impegnarci, perché non sarà facile ricostruire questo strappo.

Per un tetto europeo al prezzo del gas russo i tempi sono ancora lunghi.

Lo sono quando non c’è volontà politica. Con Spagna e Portogallo, con il loro tetto a 40 euro a MWh, i tempi sono stati brevi. Se la Germania e anche l’Olanda non lo vogliono, occorre adottarlo a livello nazionale senza perdere altro tempo. Occorre un’operazione trasparenza, senza manovre dirigiste: solo guardando i prezzi reali dei contratti di import vigenti si è in grado di dire se ci sono extraprofitti e speculazioni e, su quella base reale e non presunta, colpirli.

Tra inflazione e tassi più alti, crescono i problemi per le imprese italiane?

Certo, tant’è che già nel 2021 avevamo chiesto misure di rilancio e di riforma dell’economia, perché il rimbalzo in corso stava rallentando la sua velocità. Invece, nella manovra il governo ha adottato tutte misure che poco hanno a che fare con la crescita. A partire dalle una tantum e dagli oltre 8,5 miliardi di taglio fiscale alle fasce medio-alte, che non se ne sono nemmeno accorte. In Italia passiamo di crisi in crisi per scoprire vecchie e nuove fragilità, ma su di esse non agiamo mai. Così non diamo risposte a diseguaglianze che ci segnano da 161 anni, tutto questo è fonte di grande amarezza per noi.

Di revisione ha bisogno anche il Pnrr?

Va innanzitutto ricalibrato, per la semplice ragione che non si possono ottenere gli stessi obiettivi quando i prezzi sono mediamente cresciuti del 30% e oltre. Inoltre, l’accelerazione degli obiettivi ambientali con il piano FitFor55 e la necessità di sostituire al più presto il gas russo richiedono fondi aggiuntivi, a livello europeo e nazionale. Altrimenti intere filiere industriali sono a rischio. Di questo dovrebbero parlare i partiti.

Da mesi si continua a invocare un patto sociale. Non decolla anche per un deficit di iniziativa del premier?

Non credo. Per fare il patto sociale ci vogliono tre attori: governo, imprese e sindacati. Io credo che Confindustria abbia fatto proposte concrete: un taglio sul cuneo contributivo del lavoro da 16 miliardi concentrato sui redditi sotto i 35mila euro lordi, che sia per due terzi a favore dei lavoratori e per 1/3 delle imprese. Per mettere in busta-paga 1.223 euro in più all’anno, non i 200 euro di bonus voluto dal ministro Orlando. Osservo con una certa curiosità che l’Agenzia delle Entrate ha comunicato di essersi messa in caccia di circa 15 miliardi di euro frodati nella grande pioggia di bonus: è la stessa cifra con cui avremmo finanziato il taglio del cuneo. A oggi non ho raccolto nessuna vera proposta alternativa. Ed è difficile fare un patto a tre se nessun altro fa proposte.

Nel Patto va compreso anche il salario minimo?

Il salario minimo, dove è stato adottato, interviene dove le paghe orarie sono basse e la contrattazione è debole, nel nostro Paese invece è molto diffusa e non va scardinata. Si critica Confindustria sui rinnovi, ma quanti sanno che oggi nell’industria i lavoratori privi di un contratto rinnovato sono 242mila e 311mila nell’agricoltura, contro i 3,4 milioni nei servizi e i 2,8 milioni addirittura nella Pubblica amministrazione? Nei periodi elettorali è comodo 'mettersi contro' di noi, ma ricordo che i contratti firmati da Confindustria sono sopra la soglia di salario minimo di cui si discute.

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