venerdì 12 gennaio 2024
La società Usa sospenderà fino al 12 febbraio la produzione di automobili nella sua fabbrica in Germania. Lo scontro armato si sposta nelle catene di approvvigionamento, con conseguenze globali
Lo stabilimento Tesla vicino a Berlino, in Germania, che sospenderà la produzioni di auto elettriche fino al 12 febbraio a causa delle conseguenze della crisi sul mar Rosso

Lo stabilimento Tesla vicino a Berlino, in Germania, che sospenderà la produzioni di auto elettriche fino al 12 febbraio a causa delle conseguenze della crisi sul mar Rosso - Reuters

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Tesla in Germania sospenderà la maggior parte della produzione di automobili nella sua fabbrica vicino a Berlino dal 29 gennaio all'11 febbraio. Lo ha annunciato la stessa società statunitense, citando la mancanza di componenti dovuta ai cambiamenti nelle rotte marittime di trasporto nel Mar Rosso. Questo parziale arresto della produzione è la prova che la crisi nel Mar Rosso, scatenata dal gruppo armato Houthi in Yemen, sostenuti dall’Iran, che hanno iniziato ad attaccare da novembre le navi cargo, come ritorsione contro la guerra di Israele nella Striscia di Gaza, ha colpito l’intera economia europea a partire da quella tedesca.
E intanto nella notte tra giovedì e venerdì una coalizione di Paesi guidata dagli Usa ha bombardato alcuni siti militari usati dai Houthi in Yemen, in risposta agli attacchi le navi cargo in transito nel mar Rosso.

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Il produttore statunitense di veicoli elettrici è la prima azienda a rivelare una sospensione della produzione a causa delle conseguenze dei continui attacchi alle navi commerciali. Ma altre aziende, tra cui Geely, la seconda casa automobilistica cinese per vendite, e Ikea, l'azienda svedese di arredamento per la casa, già nei giorni scorsi avevano avvisato di possibili ritardi nelle consegne.

La prima nave attaccata dagli uomini armati Houthi è stata una nave da carico, The Galaxy Leader, che è stata dirottata il 19 novembre

La prima nave attaccata dagli uomini armati Houthi è stata una nave da carico, The Galaxy Leader, che è stata dirottata il 19 novembre - Reuters

Nel dettaglio gli attacchi dei militanti yemeniti Houthi sostenuti dall’Iran hanno costretto le principali compagnie di navigazione del mondo a evitare il Canale di Suez, la rotta marittima più veloce dall’Asia all’Europa che rappresenta circa il 12% del traffico marittimo globale.

Giganti del trasporto marittimo come Maersk e Hapag-Lloyd hanno inviato le loro navi per viaggi più lunghi e costosi intorno al Capo di Buona Speranza in Sud Africa. L’alternativa sarebbe stata rischiare di essere attaccati e perdere il carico, oltre che ritrovarsi a pagare alti premi assicurativi per navigare nel mar Rosso. La rotta aggiuntiva aggiunge circa 10 giorni nel viaggio dall’Asia al Nord Europa e circa 1 milione di dollari di carburante extra. Costi, che inevitabilmente si riversano sui possibili acquirenti che si troveranno ad avere prezzi più alti per le merci che raggiungono l’Europa meno rapidamente.

Marco Forgione, direttore dell’Istituto per l’esportazione e il commercio internazionale ha spiegato al New York Times che quello in atto è lo spostamento dello scontro armato nelle catene di approvvigionamento, con conseguenze su tutte le economie globali.
Negli ultimi mesi, le catene di approvvigionamento globali si erano finalmente riprese dopo tre anni di interruzioni causate dalla pandemia e persino da un breve blocco del Canale di Suez, che si trova all’estremità Nord occidentale del mar Rosso e gestisce circa il 12% del commercio globale. Le tariffe di trasporto erano diminuite drasticamente e i lunghi ritardi che avevano tormentato i rivenditori negli Stati Uniti e in Europa erano stati risolti. Finora, la crisi attuale nel Mar Rosso non ha interrotto le catene di approvvigionamento globali nella stessa misura in cui lo aveva fatto la pandemia. «Ma stiamo andando in quella direzione», ha concluso Forgione.

«I conflitti armati nel mar Rosso e i successivi spostamenti nelle rotte di trasporto tra Europa e Asia attraverso il Capo di Buona Speranza hanno un impatto anche sulla produzione a Gruenheide, in Germania», si legge ancora nella nota di Tesla, dove viene precisato che «i tempi di trasporto notevolmente più lunghi creano un divario nelle catene di approvvigionamento».

Peraltro questa sospensione obbligata aggiunge pressione su Tesla in un momento in cui è anche occupata a cercare di risolvere una controversia di lavoro con il sindacato svedese IF Metall sulla firma di un accordo di contrattazione collettiva, che sta scatenando scioperi di solidarietà da parte di una serie di sindacati nell’area del Nord Europa. Anche i lavoratori del sindacato di IF Metall che lavorano a Magnor, in Norvegia, in una filiale della società norvegese di alluminio, Hydro Extrusions, hanno interrotto il lavoro sui componenti per auto destinati a Tesla lo scorso 24 novembre.

Stando a quanto comunicato da Tesla la produzione riprenderà integralmente il 12 febbraio, non è, però, stato chiarito come verrà ripristinato la produzione entro quella data.

Sul fronte cinese, intanto, Tesla ha annunciato il taglio del prezzo su due dei suoi modelli in Cina. La guerra dei prezzi è la mossa con cui il colosso Usa delle auto alettriche punta a emergere in un contesto di debolezza delle vendite in Cina. Tesla ha tagliato il prezzo di partenza della berlina Model 3 del 5,9% a 245.900yuan (34.619 dollari) e ha tagliato il prezzo del veicolo utilitario sportivo Model Y a 258.900 yuan (36.449 dollari). Tesla ha anche ridotto i prezzi per le versioni a lungo raggio dei due modelli. In seguito a questa notizia le azioni quotate a Hong Kong di alcuni produttori cinesi di auto elettriche sono crollate. I titoli di Xpeng, Nio e Li Auto sono scesi.

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