giovedì 21 dicembre 2023
Le risorse non mancano, ma è la capacità di finalizzarle e spenderle che non c'è. Dal Pnrr al decreto Sud. Il decalogo per lo sviluppo
Il "Progetto Appennino"

Il "Progetto Appennino" - Fondazione Garrone

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Sono 124 le aree individuate dalla Snai-Strategia nazionale aree interne, con oltre 1.900 Comuni (in gran parte sotto i 5mila abitanti) e 4,6 milioni di abitanti. Sono territori nei quali i servizi pubblici latitano e i diritti di cittadinanza - ospedali, strade, treni, connessioni, scuole - risultano quantomeno sbiaditi. Se poi questi territori sono nel Meridione, la forbice della disuguaglianza si allarga ulteriormente. Centralità. È questa la parola rimbalzata più di frequente nel seminario che Fondazione Merita ha dedicato alla questione delle aree interne, con particolare attenzione a quelle del Sud, mettendo l'accento sul nodo degli scarsi risultati ottenuti finora dalla Snai. «La questione delle aree interne - ha spiegato il presidente onorario della Fondazione Claudio De Vincenti - si trascina da tempo, ma la soluzione corretta non è stata finora trovata. Adesso, con il problema della denatalità, con la fuga dei giovani dalle realtà più arretrate e in presenza di un fenomeno difficilmente arginabile come quello dell'inurbamento, diventa impellente affrontarla». Secondo Merita, il bandolo della matassa sta nell'impostazione data fin qui alla Snai e che, pur muovendo da presupposti validi, a dieci anni dal suo avvio non ha dato risultati apprezzabili. Infatti, come evidenzia il position paper redatto da Maria Ludovica Agrò e Amedeo Lepore per conto della Fondazione, le risorse destinate alle aree interne non mancano, ma è la capacità di finalizzarle e spenderle che manca. Lo dicono i numeri: di oltre 800 milioni di euro messi a disposizione tra il 2014 e il 2021, nei primi nove anni ne sono stati spesi meno di 40, ossia meno del 5%. La causa principale: una governance della Snai farraginosa e non efficace. Che va quindi ripensata, soprattutto in presenza dei nuovi stanziamenti del Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza che non vanno solo spesi, ma spesi bene.

Dal Pnrr al decreto Sud alla Fondazione Garrone

Le aree interne costituiscono circa i tre quinti dell’intero territorio nazionale, distribuite da Nord a Sud, e presentano caratteristiche simili: grandi ricchezze naturali, paesaggistiche e culturali; distanza dai grandi agglomerati urbani e dai centri di servizi; potenzialità di sviluppo centrate sulla combinazione di innovazione e tradizione. Per il rilancio e la valorizzazione delle aree interne è necessario sostenere investimenti che innalzino l’attrattività di questi luoghi, invertendo le tendenze di declino che le colpiscono (infrastrutturali, demografici, economici) e facilitino meccanismi di sviluppo. Il supporto del Pnrr si articola soprattutto nel potenziamento di servizi e infrastrutture sociali di comunità e in servizi sanitari di prossimità. Intanto è terminato l'iter parlamentare del decreto legge Sud. «Ora al lavoro da subito per l'attuazione», ha affermato il ministro Raffaele Fitto: «Le risorse ci sono e sono state imputate a ogni Regione con una delibera Cipes a luglio. Il testo garantisce il coordinamento tra le risorse europee e nazionali della coesione e quelle del Pnrr e migliora l'efficienza nell'impiego delle risorse del Fondo sviluppo e coesione attraverso la conclusione di accordi tra il governo e le amministrazioni locali. È previsto che sia la Regione a proporre i progetti da realizzare in base a un cronoprogramma ben preciso, innescando un processo virtuoso di responsabilizzazione delle classi dirigenti dei territori». Mentre l'istituzione di una grande Zes-Zona economica speciale unica del Sud, «lungi da voler escludere dei territori, punta a costruire una prospettiva per il Mezzogiorno d'Italia, passando da una politica assistenziale della spesa pubblica a una politica di investimenti in grado di garantirne la crescita, insieme al piano per le aree interne, coinvolgendo l'intera filiera istituzionale ed economica del Paese». Da segnalare anche l'impegno in questo senso di enti pubblici e privati, come la Fondazione Garrone, che con i campus di incubazione ReStartApp e ReStartAlp, intende dare un contributo significativo allo sviluppo economico e sociale delle aree interne. Mentre con il Progetto Appennino-Idee che muovono montagne, vuole realizzare un nuovo modello di riqualificazione delle terre alte puntando sulla nascita di giovani imprese, sul consolidamento di quelle esistenti e sulla sinergia tra loro e, più in generale, sulla messa in rete di competenze e risorse per estendere il valore di un’imprenditorialità sostenibile a favore dello sviluppo complessivo del territorio e della comunità.

Il decalogo per lo sviluppo

Sono dieci i punti per lo sviluppo e la valorizzazione delle aree interne frutto delle audizioni (svoltesi fra aprile e novembre scorsi a Benevento, Avellino, Caserta e Salerno) della commissione speciale Aree Interne del Consiglio regionale della Campania alle quali hanno partecipato rappresentanti del sistema socio-economico come amministratori locali, consiglieri regionali, docenti universitari, imprenditori, presidenti del sistema Confindustria e rettori delle Università, con l’obiettivo di raccogliere osservazioni, pareri e proposte sulle aree interne, individuare le criticità del territorio e programmare gli interventi da effettuare alla luce delle opportunità regionali, nazionali ed europee a disposizione. Ecco in dettaglio i fabbisogni, raggruppabili in dieci specifiche aree di intervento:

1. Nuova strategia: intera provincia da considerare area interna
La strategia delle aree interne ha focalizzato finora l’attenzione su singoli Comuni individuati in base alla loro distanza dai poli di servizi essenziali. Questa scelta risulta limitante ai fini del contrasto dello spopolamento: se i Comuni periferici individuati secondo il criterio della distanza superano una certa soglia, meglio allargare il perimetro dell’area interna e considerare tale l’intera provincia.
2. Attrazione degli investimenti e creazione posti di lavoro
La nuova strategia per il ripopolamento delle aree interne deve puntare all’attrazione degli investimenti e alla creazione di lavoro, prima ancora che alle precondizioni dello sviluppo e a servizi per i residenti come scuola e sanità.
3. Infrastrutture materiali e immateriali
Le aree Asi presentano diverse criticità infrastrutturali: bisogna investire dunque nella creazione di nuove infrastrutture viarie e ferroviarie utili a migliorare la mobilità interna del territorio, attrarre nuovi insediamenti produttivi e facilitare la fruizione degli attrattori turistici.
4. Fiscalità di vantaggio premiale per le Zes delle aree interne
Per attrarre nuove imprese sul territorio è necessario prevedere una fiscalità di vantaggio premiale per le Zes delle aree interne, con premialità specifica o sgravi contributivi per le imprese che assumono, anche over 35 vista la maggiore anzianità della popolazione del territorio. È necessario inoltre ridurre il carico fiscale delle imprese nei borghi per evitare la perdita di servizi essenziali, spesso a valenza sociale, come piccoli bar, edicole o piccoli negozi al dettaglio. Una Zes unica per tutto il Sud porterebbe a un maggiore abbandono delle aree interne perché le imprese potrebbero scegliere di localizzarsi solo a ridosso di autostrade, stazioni, porti e aeroporti presenti nei poli urbani.
5. Sburocratizzazione e semplificazione delle aree interne
Dalle audizioni emerge la necessità di sburocratizzazione generale e semplificazione dei bandi per enti locali e pmi nelle aree interne. Nei Comuni manca infatti il personale e appare spesso complicata sia la gestione delle attività ordinarie che la partecipazione a complessi bandi regionali.
6. Sostenibilità
Occorre investire nel rifacimento ed efficientamento della rete idrica e di quella fognaria, ormai obsolete, e nella realizzazione di nuovi depuratori; e ancora investire in progetti di ricerca e sviluppo finalizzati ad individuare nuove tecnologie per l’efficienza dei processi produttivi.
7. Energie rinnovabili e modello di condivisione del valore creato
Bisogna continuare a investire nella produzione di energie da fonti rinnovabili, abbandonando il vecchio modello di tipo estrattivo in cui la ricchezza finisce nelle mani di pochi e i territori vengono solo “depredati”, indirizzandosi piuttosto verso un modello di condivisione del valore creato. Le aree interne sono ricche di risorse naturali e ospitano parecchi impianti eolici. Uno scenario interessante è rappresentato dal biometano, che implementa modelli di economia circolare, e dallo sviluppo di tecnologie che usano l’idrogeno come vettore energetico.
8. Legge di riordino dei Comuni
Le Regioni dovrebbero legiferare in materia di riordino istituzionale, spingendo i piccoli Comuni con meno di 5mila abitanti ad aggregarsi per migliorare i servizi offerti e prevederne di nuovi, aumentando il benessere dei residenti e l’attrattività dell’area.
9. Policentrismo
L’attuale modello di sviluppo ha portato a una spinta verso la concentrazione di popolazione, attività, infrastrutture e servizi nelle aree urbane che ha avuto come contraltare il depauperamento delle aree interne. Puntare su una strategia di sviluppo basata sul policentrismo potrebbe decongestionare le aree urbane, spostando nelle aree interne alcuni servizi regionali, e innescare processi rigenerativi di sviluppo, mettendo in valore anche le reti infrastrutturali in corso.
10. Centro di ricerca per lo sviluppo delle aree Interne
La creazione di un Centro di ricerca per lo sviluppo delle aree interne in partnership con l’Università Federico II di Napoli, in cui partecipano le diverse istituzioni locali, consentirebbe di coordinare in modo continuo e costante gli interventi di contesto, ricerca e sviluppo, formazione e innovazione sociale da realizzare.





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