domenica 4 marzo 2018
Questa formula potrebbe rimanere in molti casi l’unico strumento per consentire di uscire dal lavoro prima di avere raggiunto la soglia per il pensionamento di vecchiaia
Inps. L'Ape volontaria può consentire di lasciare il lavoro in anticipo

Inps. L'Ape volontaria può consentire di lasciare il lavoro in anticipo

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I numerosi detrattori della legge Fornero lo considerano un palliativo o, peggio, una beffa per i lavoratori che dovranno pagare di tasca propria e a caro prezzo l’uscita anticipata. Eppure se i propositi di abolizione della normativa sulle pensioni si infrangeranno contro l’amara realtà dei conti pubblici, l’Ape (Anticipo pensionistico) volontario potrebbe rimanere in molti casi l’unico strumento per consentire di uscire dal lavoro prima di avere raggiunto la soglia per il pensionamento di vecchiaia (oggi a 66 anni e 7 mesi, dal 2019 67 anni).

Una via di fuga percorribile specialmente se il sacrificio finanziario del pensionando sarà supportato, in tutto o in parte dal datore di lavoro, come la normativa consente e favorisce. Dopo l’Ape social, quello destinato alle categorie deboli e pagata dallo Stato, la novità dell’anticipo volontario è entrata nella fase operativa dopo una gestazione durata oltre un anno, per ora solo a livello sperimentale. Non riguarda tutti, ha paletti ben precisi (minimo 63 anni di età, 20 di contributi) ed stato introdotto per ora solo a livello sperimentale.

Come funziona. L’«artificio» dell’Ape volontario si regge sul fatto che non si tratta di una pensione anticipata ma di un prestito che il lavoratore fa a se stesso per garantirsi un reddito ponte fino al momento in cui avrà maturato la pensione vera e propria: attraverso la triangolazione con una banca si ottiene in anticipo parte del reddito previdenziale futuro. Oltre ai requisiti di età e contribuzione, per fare la domanda bisogna avere maturato un assegno minimo di circa 710 euro al netto della rata di ammortamento.

Una volta raggiunta la pensione vera e propria, si restituisce quanto ricevuto prima con un trattenuta mensile. Cui si aggiungono gli interessi e l’assicurazione obbligatoria, che interviene se il lavoratore non vive abbastanza a lungo per ripagare tutto il debito: considerando che la restituzione parte a 67 anni e può durare fino a 87 l’eventualità è statisticamente rilevante. Per questo i costi finanziari dell’Ape volontario sono alti, anche se la legge li dimezza, concedendo a chi lo chiede uno sgravio del 50%. A valle del bonus il costo finanziario netto è di circa l’1,6% della futura pensione per ogni anno di anticipo. Per due anni è il 3,1% e per tre si arriva intorno al 4,5%. Ma quanto pesa l’intera operazione sulle tasche del pensionato?

I costi. Palazzo Chigi pubblica sul sito una simulazione relativa a un lavoratore che si trovi a due anni dall’uscita, abbia maturato il diritto a una pensione di 2.000 euro netti e chieda un Ape pari all’80% dell’assegno. Nei 24 mesi di Ape percepirà 1.600 euro mensili. Poi riceverà un mensile pensionistico netto ridotto di 227 euro (160 per restituire l’anticipo e 67 per i costi finanziari), cioé 1.773 euro al mese con un 'taglio' dell’11,35%. Calcolata sul reddito annuo l’incidenza effettiva è dell’8,6%, perché la restituzione avviene su 12 mensilità e la tredicesima rimane intatta. Restando invece all’impatto sulle mensilità ordinarie, il centro studi Itinerari Previdenziali lo calcola al 5,6% circa per ogni anno di anticipo, al 16-17% per tre anni, mentre per 43 mesi (il massimo ottenibile) si sfiora il 20%.

La differenza però aumenta se si tiene conto che qualora il lavoratore restasse in attività fino all’età di vecchiaia, il suo monte contributivo crescerebbe e la futura pensione sarebbe più robusta. Nell’esempio governativo il pensionando rinviando l’uscita di due anni si assicura una pensione di 2.078 euro netti. La differenza effettiva con l’assegno post-Ape sale così a 303 euro, il 15% in meno (circa il 7,5% per ogni anno di anticipo). Secondo invece il simulatore di Itinerari Previdenziali, un lavoratore con uno stipendio netto di 1.500 euro che vuole anticipare l’uscita di 43 mesi percepirà un reddito ponte di 762 euro e poi 813 euro al mese di pensione per 20 anni, dovendo restituire 203 euro al mese. Rispetto alla teorica pensione piena perde 353 euro, il 30%. Una bella differenza.

L’opzione aziendale. Le cifre sopra descritte indicano che molti non potranno permettersi l’uscita anticipata. La normativa dell’Ape apre però spazi di 'contrattazione' tra lavoratore e azienda. Il datore di lavoro (ma anche un fondo di solidarietà o un ente bilaterale), come spiega Stefano Patriarca, l’economista consulente del governo che è stato l’architetto della misura, può incentivare l’uscita anticipata erogando una somma pari almeno ai contributi pensionistici che il lavoratore avrebbe maturato negli anni mancati alla pensione. Soldi che andranno quindi a rimpinguare il futuro assegno previdenziale. Restando all’esempio proposto sul sito di Palazzo Chigi, il datore di lavoro verserà circa 23mila euro per 2 anni di anticipo, somma che compensa i costi finanziari dell’Ape e riduce di 78 euro il gap con la pensione piena. Non solo.

L’Ape si può chiedere anche restando al lavoro e questo apre le porte a soluzioni diverse: lo può ottenere un 63enne che ha semplicemente bisogno di un prestito (anche in questo caso agevolato dallo Stato). Può permettere di passare al part time negli ultimi anni di carriera, integrando lo stipendio ridotto. Può combinarsi con l’assegno di disoccupazione e con l’anticipo delle pensione complementare, la Rita. Una serie di opzioni su cui le aziende potranno far leva per accelerare il turn over. Con il consenso, non necessariamente spontaneo, del lavoratore.

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