mercoledì 20 marzo 2019
Preoccupano il calo dell’occupazione (dal 46,3% del 2004 al 44,5% del 2018) e la crescente migrazione di giovani meridionali: negli ultimi 16 anni quasi 600mila hanno lasciato la loro terra
Al Sud serviranno dieci anni per tornare ai livelli pre-crisi
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Dieci anni. Il Mezzogiorno dovrà aspettare questo lasso di tempo prima di vedere i suoi livelli di crescita tornare almeno a quelli della pre-crisi del 2008. Continua e continuerà a scendere il contributo del Sud all’economia italiana. Se nel 2000 il 24,7% del valore aggiunto nazionale era prodotto dalle nostre regioni meridionali, nel 2018 questo contributo si è fermato al 22,8% con una stima per il 2023 fissata al 22,6%. Un crollo di oltre due punti in 20 anni, causa, ma anche effetto, delle negative dinamiche socioeconomiche come il calo dell’occupazione (dal 46,3% del 2004 al 44,5% del 2018) e la crescente migrazione di giovani del Sud, negli ultimi 16 anni quasi 600.000 hanno abbandonato le loro terre d’origine. È un quadro piuttosto amaro quello che emerge dall’Osservatorio Banche e Imprese di Economia e Finanza presentato ieri in Senato. «Un divario tra Nord e del Sud destinato a crescere – ha spiegato il presidente Salvatore Matarrese – poiché, da sempre, le crisi impattano maggiormente sull’economia più debole del Paese». Che lancia anche un allert al governo gialloverde: «In un contesto economico così sperequato, la realizzazione delle autonomie regionali raffor- zate avrebbe un impatto devastante, disgregando il Paese e lasciando la parte più debole senza futuro. Il Sud andrebbe posto al centro degli obiettivi economici dell’Italia, attuando un programma coordinato ed integrato di investimenti con un’unica cabina di regia, che potrebbe essere l’Agenzia di Coesione». In verità a pesare sono soprattutto i dati sulla spesa delle risorse del Fondo europeo di Sviluppo e Coesione, rispetto a quanto stanziato, 59,8 miliardi di euro, in base ai calcoli della Ragioneria di Stato, si è speso meno del 5% a due anni dalla scadenza del programma. «C’è un’evidente incapacità di progettazione – ha spiegato Luca Bianchi, direttore generale di Svimez – e anche le varie politiche come il credito d’imposta o i contratti per lo sviluppo, tranne qualche raro caso in Campania, andrebbero sviluppati meglio mentre invece si sono drenate risorse a favore del reddito di cittadinanza ». C’è una specie di «solitudine dei talenti al Sud», così la chiama il direttore di Svimez, e anche le Zone Economiche Speciali che potrebbero essere un volano per l’economia meridionale fino ad oggi hanno avuto poco impatto. Molto meglio il programma Industria 4.0 che ha permesso a molte aziende del Mezzogiorno di accedere ai fondi e di riconvertirsi. Per ripartire però si potrebbe puntare sull’edilizia. Lo ha ricordato Vincenzo Boccia presidente di Confidustria: «Ci sono 36 miliardi pronti, già stanziati che potrebbero far ripartire il nostro Mezzogiorno, ricominciando ad aprire i cantieri fermi. Risorse non in deficit, bisogna solo spenderli e fare anche in fretta perché il tempo è un’altra variabile che quando si parla di Sud non può essere dimenticata ». Fare presto, insomma. Il decreto sblocca cantieri dovrebbe approdare proprio domani al Consiglio dei ministri, ci sono almeno 7 aree meridionali interessate, dall’acquedotto pugliese alla Lioni-Grottaminarda arteria di collegamento nella bassa Irpinia fino al tema delle autostrade da ultimare in Sicilia.

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