«Lasciamo Beta 80 a una Fondazione che sappia custodirla»

Fondata 40 anni fa da un gruppo di amici del Politecnico di Milano, l’azienda di Ict ora appartiene a un ente autonomo Il ceo Lovati: «L’impresa che lavora in un certo modo è un bene sociale che va preservato da altri interessi»
October 30, 2025
«Lasciamo Beta 80 a una Fondazione che sappia custodirla»
Beta 80 ha la caratteristica piuttosto rara di essere un’azienda nata da un gruppo di amici. L’hanno fondata nel 1986 dieci compagni di studi di Ingegneria elettronica del Politecnico di Milano, che freschi di laurea scelsero di non accettare le offerte di lavoro delle grandi multinazionali dell’informatica per mettersi invece assieme per fare qualcosa di diverso. «Già in partenza avevamo uno scopo più alto – racconta uno di loro, Alfredo Lovati –. Non volevamo avviare un’impresa per fare soldi, ma condividevamo l’idea che il lavoro fosse uno strumento potente di espressione di sé. La possibilità di farlo e modellarlo insieme con degli amici per costruire un’azienda che facesse qualcosa di utile per la società era un’idea che ci affascinava».
Ha funzionato: Beta 80, che ha quasi quarant’anni, oggi è una solida realtà italiana del settore dell’Ict, cioè le tecnologie di informazione e comunicazione. Offre servizi informatici alle imprese nella trasformazione digitale, nella gestione della catena di fornitura e nelle procedure per le situazioni di crisi e di emergenza. Ha 500 dipendenti in sei sedi operative e fattura oltre 60 milioni di euro all’anno. E quell’idea iniziale di creare un progetto capace di durare nel tempo e incidere in modo positivo sulla realtà ha portato negli ultimi anni i soci (oggi i fondatori ancora operativi sono sei) a una scelta per molti versi unica nel panorama nazionale: la creazione di una Fondazione a cui cedere tutte le quote dell’azienda. È nata così, a luglio 2024, Fondazione Beta 80, che dallo scorso dicembre detiene il 100% di Beta 80. Per Statuto, la Fondazione ha il compito di «assicurare la sostenibilità economica, sociale e ambientale del Gruppo a lungo termine, mantenendo l’adesione ai valori originari e offrendo un’esperienza imprenditoriale solida e riconoscibile, guidata da principi chiari, quali la valorizzazione del lavoro, la promozione dell’innovazione, dell’eccellenza, del miglioramento continuo, la crescita e lo sviluppo delle capacità del management e dei collaboratori».
La Fondazione è partita con gli ex soci di Beta 80 nel consiglio di amministrazione e Lovati, ceo dell’azienda, come presidente. Gradualmente però i fondatori dell’impresa lasceranno spazio nel cda della Fondazione a nuove persone. «Si tratta di avere consiglieri di amministrazione che si sono immedesimati in questo scopo – spiega Lovati –. Per questo abbiamo creato un’Academy interna per formare le persone sui valori aziendali e selezionare così la futura leadership. Vogliamo garantire che chi entrerà nella Fondazione abbia vissuto lo spirito di quest’azienda e acquisito quei valori che rappresentano lo scopo della sua esistenza». Nella Fondazione non ci saranno i parenti dei soci fondatori e i consiglieri non potranno essere allo stesso tempo dirigenti di Beta 80, così da garantire l’indipendenza della nuova entità.
Le strade più tradizionali, per le imprese che affrontano il passaggio generazionali quando i fondatori si preparano a lasciare, sono altre. Può esserci il passaggio di consegne ai figli o ai nipoti, nel caso delle imprese che scelgono di mantenere il loro carattere famigliare. Oppure l’apertura al mercato: la cessione a una società più grande, l’ingresso di fondi o altri soci, anche la quotazione. I soci di Beta 80 hanno fatto un percorso diverso. «In realtà già molto presto, dieci anni dopo l’avvio dell’azienda, abbiamo iniziato a ragionare su come fare in modo che l’impresa durasse nel tempo, andando oltre noi soci fondatori – racconta Lovati –. Abbiamo iniziato così a dare spazio alle persone che si stavano formando dentro l’azienda, con un modello molto aperto. Qualche anno fa abbiamo iniziato a ragionare su quale fosse lo strumento più adatto per assicurare che l’impresa possa avere un futuro solido, al riparo da interessi speculativi e visioni di breve termine. Abbiamo individuato nella Fondazione lo strumento più adatto, anche perché è giuridicamente molto ampio».
Tradizionalmente le Fondazioni di impresa si occupano di filantropia: con le risorse generate dall’attività di impresa fanno attività nell’ambito sociale o culturale. «Sono scopi meritevoli, ma il nostro obiettivo è diverso – dice Lovati –: vogliamo affermare che l’azienda fatta in un certo modo e con un certo scopo è un bene in sé. È un bene sociale, per il modo in cui lavora, per le relazioni con gli stakeholder e il territorio in cui opera».
I soci di Beta 80 non hanno trovato facilmente modelli a cui ispirarsi. Ad accompagnarli è stato Alessandro Minichilli, ordinario di Economia aziendale all’Università Bocconi di Milano e fondatore della società di consulenza Value Governance, che si occupa proprio dei passaggi di controllo delle imprese. Minichilli definisce «innovativo e valoriale» l’approccio di Beta 80, perché «i soci hanno deciso di porre il Purpose aziendale al centro della strategia proprietaria, anteponendo i valori fondativi al modello di governance, nell’obiettivo di creare un Gruppo capace di perpetuare nel tempo».
Un modello che può ispirare altri imprenditori ed essere replicato. Dopo l’avvio della Fondazione, i fondatori di Beta 80 sono stati contattati da altri imprenditori e professionisti interessati a questo tipo di soluzione. Il caso di Armani si inserisce in questo stesso filone: la maggioranza del grande gruppo della moda, dopo la morte dello stilista, appartiene a una Fondazione che ha l’incarico di accompagnare il passaggio dell’impresa verso un’alleanza con gruppi internazionali scelti dal fondatore e indicati nel testamento. Anche in questo caso con l’obiettivo di dare alla società una prospettiva nel tempo. Senza lasciare che sia solo il mercato a decidere a che cosa serve un’impresa.

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