"Amadeus": nella nuova serie Sky il genio e il silenzio di Dio
In prima visione su Sky Atlantic e su Now dal 23 dicembre la serie scava nei tormenti di Mozart e nella fede ferita di Salieri ispirandosi al dramma di Peter Shaffer

C’è un silenzio particolare che attraversa la nuova serie evento Sky Original Amadeus. È lo spazio interiore in cui la musica nasce come preghiera, come sfida, come grido. Ed è proprio in questo spazio che la serie sceglie di abitare, con passo misurato e ambizione dichiaratamente classica, raccontando il genio di Wolfgang Amadeus Mozart e il suo doppio speculare, Antonio Salieri.
Lontana da ogni tentazione di forzato revisionismo spettacolare, Amadeus, in prima visione su Sky Atlantic e in streaming su Now dal 23 dicembre, si presenta come un prodotto accurato, tradizionale nel linguaggio, ma profondo nello scavo psicologico. E che funziona. Perché la serie in cinque puntate non cerca il colpo di testa, bensì la durata: la persistenza delle domande ultime – sul talento, su Dio, sul senso del limite umano – che già animavano il testo teatrale di Peter Shaffer e il celebre film di Miloš Forman del 1984.
Il punto di partenza resta il dramma di Shaffer, che debuttò nel 1979, ispirata dal breve dramma teatrale di Aleksandr Puškin del 1830, Mozart e Salieri, che Nikolaj Rimskij-Korsakov utilizzò nel 1897 come libretto per un’opera omonima. Si tratta di un monologo di un monologo di Salieri dove il rapporto con Dio è al centro. Benissimo adattato per la serialità da Joe Barton, il lavoro televisivo diretto in modo sontuoso da Julian Farino e Alice Seabright, è costruito come una lunga confessione: Salieri anziano, prigioniero della propria memoria e del proprio rancore, che si rivolge a Dio accusandolo di ingiustizia. La serie riprende questo impianto, ma lo dilata. Dove il teatro concentrava tutto nella parola e il film di Forman nella potenza iconica, la serialità permette un approfondimento graduale, dei personaggi. Rispetto al film del 1984 – capolavoro ancora insuperato – la serie rinuncia a una certa teatralità barocca per guadagnare intimità. Il Salieri televisivo è meno demoniaco, più umano; il Mozart meno caricaturale, più ferito. È una scelta che non tradisce Shaffer, ma ne esplora le pieghe più silenziose.
L’unico aspetto poco convincente è la scelta della multietnicità del cast, che, pur muovendo da un intento condivisibile di superamento degli stereotipi, in un contesto fortemente ancorato a una ricostruzione storica specifica risulta nel complesso artificioso. Tuttavia, non compromette il valore complessivo della serie né la solidità del suo impianto narrativo e interpretativo, a partire dallo straordinario protagonista anglo-giapponese Will Sharpe nel ruolo di Mozart: in un lavoro di sottrazione notevole convince proprio perché non cerca l’istrionismo fine a se stesso. Il riso sguaiato, l’irriverenza, l’infantilismo ci sono, ma non diventano maschera. Dietro, emerge un uomo inquieto, spesso solo, incapace di abitare pienamente il mondo che pure illumina con la sua musica.
Questo Mozart non è soltanto il genio toccato dalla grazia, ma l’artista che paga fino in fondo il prezzo del dono ricevuto. La serie insiste sul suo rapporto irrisolto con il denaro, con il padre, con il lavoro, con il riconoscimento sociale; e soprattutto sul suo rapporto con Dio, mai pacificato. Mozart non prega come Salieri, non chiede, non patteggia. Compone. Ed è nella musica che sembra dire a Dio tutto ciò che non riesce a formulare a parole.
Quando il venticinquenne Amadeus arriva nella vivace Vienna del Settecento, non più un bambino prodigio e desideroso di libertà creativa, il suo destino si intreccia con due figure fondamentali: la sua futura moglie Constanze Weber, di incrollabile fedeltà, e il devotissimo compositore di corte Antonio Salieri. Se Mozart vive la musica come un flusso naturale, Salieri (il vibrante ed eccezionale Paul Bettany) la vive come una conquista morale. Fin dal primo episodio, il suo rapporto con Dio è centrale: una fede costruita come alleanza, quasi come contratto. Io sarò virtuoso, devoto – sembra dire – e Tu mi concederai il talento. Quando il talento viene invece elargito a Mozart, indegno agli occhi di Salieri, il patto si spezza.
È qui che la serie trova alcuni dei suoi momenti più intensi. La preghiera che diventa monologo accusatorio; il silenzio di Dio che pesa più di una condanna; la consapevolezza, devastante, che la grazia non si merita. In questo senso, Amadeus resta un racconto dalle riflessioni teologiche sulla gelosia e sull’elezione.
Tra i momenti salienti dei vari episodi spiccano l’arrivo di Mozart a Vienna, accolto con curiosità e sospetto; il confronto con l’imperatore Giuseppe II (il solido Rory Kinnear), emblema di un potere illuminato ma incapace di comprendere davvero la radicalità dell’arte; e il rapporto con la moglie Constanze, qui tratteggiato con maggiore rispetto e complessità rispetto a versioni precedenti. Constanze Weber (la volitiva Gabrielle Creevey) non è semplice figura di contorno, ma una vera compagna di vita, l’unica capace di stare accanto a Mozart comprendendone la stanchezza, a difenderne il lavoro, a reggere il peso concreto dell’esistenza quotidiana.
La serie Sky dedica ampio spazio alla nascita e alla ricezione di alcune opere fondamentali: Le nozze di Figaro, accolte con freddezza e incomprensione; Don Giovanni, che appare come il vertice oscuro della produzione mozartiana; Il flauto magico, letto come tentativo estremo di conciliare gioco, simbolo e spiritualità. La musica, non è mai semplice accompagnamento: entra nella drammaturgia, commenta, contraddice, svela. Sono circa 115 passi autentici di Mozart, eseguiti con strumenti d’epoca, oltre a frammenti di Salieri, Haydn, Bach. Infine il racconto della morte di Mozart, senza indulgere nel sensazionalismo, sceglie la via del pudore. Niente complotti gridati, niente enfasi eccessiva. Solo il corpo che si spegne, una musica che resta incompiuta – il Requiem – e un Salieri costretto a confrontarsi con l’abisso della propria solitudine e della propria inadeguatezza. È qui che la serie si distacca con maggiore decisione dal film di Forman: meno teatralità, più silenzio. Mozart muore povero, stanco, incompreso; ma la sua musica, suggerisce la serie, ha già oltrepassato il tempo.
Amadeus di Sky aggiunge un’ulteriore domanda: può un racconto televisivo restituire oggi alla musica classica una funzione vitale, non museale? Le opere di Mozart qui si agganciano alla vita reale e in questo senso la serie può davvero contribuire a risvegliare l’amore per la musica classica, soprattutto in chi la percepisce come distante o elitaria.
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