giovedì 14 marzo 2019
Nicola Casarini, responsabile di ricerca per l’Asia orientale presso l’Istituto Affari Internazionali: per Roma sarebbe un salto nel vuoto, Trump è l'unico alleato di peso di questo governo
Nicola Casarini, analista dell'Istituto Affari Internazionali

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Nicola Casarini, responsabile di ricerca per l’Asia orientale presso l’Istituto Affari Internazionali, da anni studia a fondo il progetto della Nuova Via della Seta e non è affatto sicuro che il governo la prossima settimana firmerà un 'vero' memorandum d’intesa con la Cina facendo infuriare Donald Trump. «Questo esecutivo ci ha abituati a soluzioni dell’ultimo momento, un po’ arzigogolate. Anche in questo caso potrebbero firmare qualcosa di meno impegnativo ».

Che cosa le fa prospettare una correzione dell’ultimo minuto?

La firma è diventata molto problematica, vediamo in questi giorni l’aumento delle perplessità della Lega. Sanno che per l’Italia sarebbe un salto nel vuoto. Questo governo ha creato tensioni con i principali partner europei, cioè la Germania e la Francia. Ha negli Stati Uniti l’unico alleato internazionale di peso: può permettersi adesso di creare dei problemi a Trump? Potrebbe farlo un governo solido, forte e competente. Non mi sembra questo il caso.

Conte, Di Maio, anche il sottosegretario Geraci ripetono che quella con la Cina sarebbe un’intesa commerciale e non politica, accettabile anche per gli Stati Uniti.

Non è onesto cercare di fare passare l’idea che in gioco ci sia una cosa di poco conto approfittando del fatto che in Italia la politica estera sia poco seguita dagli elettori. È la Cina, prima di tutto, a vederla in un altro modo: la Nuova Via della Seta non è solo un piano commerciale, è lo sforzo di Pechino per la costruzione di un ordine mondiale alternativo a quello costruito dagli Stati Uniti con strumenti come il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale. Il governo può legittimamente decidere di supportare questa iniziativa, ma deve spiegare chiaramente la sua scelta senza prendere in giro l’opinione pubblica.

Entrare nella Nuova Via della Seta che benefici potrebbe portare?

I vantaggi sarebbero molti. Pechino accompagna la firma di questi accordi con investimenti, prestiti e accesso al proprio mercato. L’Italia potrà allargare il proprio export in Cina e incassare forti investimenti sulle infrastrutture. Il nostro Paese è in recessione, il governo ha molto bisogno di investimenti e di risorse fresche. Inoltre il memorandum che stanno nego- ziando sembra essere innovativo e potrebbe fare dell’Italia una avanguardia europea nei rapporti con Pechino.

Quali gli aspetti innovativi?

Sarebbe la prima intesa a includere riferimenti ai principi della 'strategia eurasiatica', la risposta europea alla Nuova Via della Seta concordata lo scorso settembre a Bruxelles. Semplificando: l’accordo si baserebbe su principi occidentali, se la Cina accetta di firmare un memorandum di questo tipo si aprirebbero nuove prospettive anche per gli altri Paesi dell’Ue. Sarebbe un po’ come quando David Cameron, nel 2015, nonostante l’opposizione di Obama firmò, primo leader europeo, l’ingresso del Regno Unito nell’Aiib, la Banca asiatica d’investimento per le Infrastrutture che è l’equivalente cinese di quello che la Banca mondiale è per gli Stati Uniti.

Washington come potrebbe reagire a una scelta di questo tipo? Quello è il problema. Trump non è uno che va per il sottile e non starebbe a valutare la qualità dell’accordo. È impegnato in questa battaglia con la Cina e se l’Italia si schierasse con Pechino la prenderebbe malissimo. Ricordiamoci tra l’altro che dopo questo viaggio europeo Xi andrebbe in Florida a incontrare il presidente americano per trattare sulla fine della guerra dei dazi: presentarsi con un accordo 'di peso' per lui sarebbe una grande dimostrazione di forza. Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, appena rientrato dagli Stati Uniti, ha chiaro questo problema e per questo lavorano per evitare un memorandum davvero impegnativo.

Ma i cinesi accetterebbero un ridimensionamento dell’intesa?

Non sarebbe la prima volta. Prima di andare al G20 di dicembre a Buenos Aires, Xi si era fermato a Madrid ed era vicino a un accordo simile con la Spagna. Poi il premier spagnolo Pedro Sánchez ha preferito soprassedere per evitare di compromettere le relazioni con l’Ue oltre che con gli Stati Uniti. I cinesi lo capiscono: rispetto ai governi democratici non hanno il problema di convincere le loro basi elettorali, sono pragmatici e disposti ad aspettare. Per questo non darei per scontata la firma italiana.

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