Il Papa: due Stati per la Terra Santa. E cessate-il-fuoco in Ucraina
di Giacomo Gambassi, inviato sul volo papale
Sul volo papale verso il Libano, Leone XIV conferma l’ipotesi di incontrare i capi delle Chiese a Gerusalemme nel 2033 per il Giubileo della Risurrezione. Definisce la Santa Sede «mediatrice» fra Israele e Palestina. Il sostegno a Erdogan per favorire i negoziati con Ucraina, Russia e Usa che fermino la guerra a Kiev

Leone XIV lo conferma sul volo papale che dalla Turchia lo porta in Libano. «Potrebbe tenersi nel 2033, a duemila anni dalla Risurrezione di Cristo» uno dei prossimi incontri con i capi delle Chiese cristiane. Come l’evento storico che venerdì ha avuto come cornice Nicea dove il Papa e i leader delle diverse tradizioni cristiane hanno tenuto una preghiera ecumenica per i 1700 anni del primo Concilio ecumenica. «Una magnifica celebrazione, semplice ma profonda per fare memoria di un evento di unità», dice il Pontefice. E «sia a Nicea» venerdì, sia nel colloquio di ieri con i rappresentanti delle confessioni cristiane a Istanbul, «abbiamo parlato di futuri incontri possibili». Ed «è stata accolta l’idea di celebrare a Gerusalemme» il Giubileo della Resurrezione, annuncia Leone XIV. Insieme, come a Nicea. «Abbiamo di fronte alcuni anni per prepararci», fa sapere il Pontefice. Perché si tratta di una ricorrenza che «tutti i cristiani intendono commemorare». Ed è scontato che Leone XIV ci sarà a Gerusalemme nel 2033.
Nel volo verso Beirut, il Papa chiede ancora pace per la Terra Santa e per l’Ucraina. Lo fa rispondendo alle domande dei giornalisti. Per la Terra Santa invoca la «soluzione dei due Stati», ossia Israele e Palestina l’uno accanto all’altra, e la definisce come «l’unica che potrebbe offrire una via d’uscita al conflitto» permanente nell’area. Per l’Ucraina ribadisce l’urgenza del «cessate il fuoco». E spiega di aver voluto fare tappa «in Turchia e in Libano» nel suo primo viaggio apostolico perché entrambi i Paesi sono «messaggeri di pace nella regione». Turchia che, aggiunge, mostra come «musulmani e cristiani, che sono una minoranza possano vivere insieme».
Il Papa caldeggia l’ipotesi dei “due popoli, due Stati” per la Terra Santa. «Da anni – ricorda – la Santa Sede la appoggia, ma ancora Israele non la accetta». Nessuna incrinatura, però, con Tel Aviv. «Siamo amici di Israele», sottolinea il Pontefice. E chiarisce che la “strategia” vaticana è quella di essere «fra le due parti una voce mediatrice per avvicinarsi a una soluzione» che sia nel segno della «giustizia per tutti».
Di Terra Santa il Papa ha parlato con il presidente Erdogan nell’incontro che ha aperto la visita in Turchia. Leone XIV racconta una particolare sintonia con il capo dello Stato. Erdogan «è d’accordo con la proposta» dei due Stati in Terra Santa e «la Turchia ha un ruolo importante da giocare. Lo stesso vale per l’Ucraina», afferma il Papa. Il Pontefice sottolinea che Erdogan «per il suo rapporto con i presidenti di Ucraina, Russia e Usa» può aiutare «a promuovere il dialogo» fra le parti che porti a «risolvere il conflitto». Già «ha aiutato nei mesi scorsi a convocare» le delegazioni russe e ucraine, però le soluzioni «non sono purtroppo arrivate». Ma Leone XIV guarda all’oggi e sul tavolo esistono «proposte concrete per la pace».
Il Papa dalla Turchia: pace, ecologia e digitale, sfide comuni per i cristiani
«Assicuro la mia piena dedizione alla santa causa dell’unità dei cristiani». Leone XIV lo ripete prima nella Cattedrale apostolica armena e poi nella piccola chiesa di San Giorgio, la “cattedrale” del patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Hanno un denominatore ecumenico le ultime ore di Leone XIV a Istanbul. Mattina ancora a Istanbul prima del volo che lo porta in Libano per una visita tutta nel segno della pace. Il primo appuntamento della domenica “turca” del Papa è con la comunità ortodossa armena per un momento di preghiera. Nel suo intervento il Pontefice elogia «la coraggiosa testimonianza cristiana del popolo armeno nel corso dei secoli, spesso in circostanze tragiche». Non entra in dispute storiche o politiche, come la persecuzione subita all’inizio del Novecento da parte dell’Impero Ottomano che alcuni Paesi definiscono il “genocidio armeno”. Invece ricorda «i legami fraterni sempre più stretti che uniscono la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica». Come testimonia ciò che era accaduto dopo il Concilio Vaticano II, nel maggio 1967, quando il patriarca Khoren I era «stato il primo primate di una Chiesa ortodossa orientale a visitare il Vescovo di Roma e a scambiare con lui il bacio della pace». Poi, nel 1970, durante il pontificato di Paolo VI, «la prima dichiarazione congiunta tra un Papa e un patriarca ortodosso orientale, invitando i loro fedeli a riscoprirsi fratelli e sorelle in Cristo in vista dell’unità». E, citando i 1.700 anni del primo Concilio ecumenico che il Papa ha commemorato a Nicea nello storico incontro di venerdì con i capi delle Chiese, spiega che è dalla «fede apostolica comune che dobbiamo attingere per recuperare l’unità che esisteva nei primi secoli» guardando a «una comunione che non implica assorbimento o dominio, ma piuttosto uno scambio dei doni».

Poi lo spostamento al Fanar, il quartiere che ospita il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, per la Divina Liturgica con il patriarca Bartolomeo I in occasione della festa di sant’Andrea, patrono del patriarcato ecumenico. Nella chiesa di San Giorgio il Papa cita l’Apostolo per dire che «la sua fede è la nostra: la stessa definita dai Concili ecumenici e professata oggi dalla Chiesa». Quella sintetizzata nel Credo che «ci unisce in una comunione reale e ci permette di riconoscerci come fratelli e sorelle». Nonostante i «molti malintesi» e persino i «conflitti tra cristiani di Chiese diverse» e malgrado ci siano «ancora ostacoli», non «dobbiamo tornare indietro nell’impegno per l’unità». Poi incoraggia il lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa istituita da Giovanni Paolo II e dal patriarca ecumenico Dimitrios in occasione della visita che il Papa fece al Fanar nel 1979, chiedendo di «continuare a compiere ogni sforzo affinché tutte le Chiese ortodosse autocefale tornino a partecipare attivamente a tale impegno». Bartolomeo I entra nel concreto del dibattito: «La riflessione sulla sinodalità e sul primato intrapresa negli ultimi anni si è rivelata fonte di ispirazione e rinnovamento non solo per le nostre Chiese ma anche per il resto del mondo cristiano. Preghiamo perché le questioni come il “filioque” e l’infallibilità, che la Commissione sta esaminando, siano risolte in modo tale che la loro comprensione reciproca non costituisca più un ostacolo alla comunione».

Anche davanti al patriarca ecumenico il Pontefice ripete che «perseguire la piena comunione tra tutti coloro che sono battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nel rispetto delle legittime differenze, è una delle priorità della Chiesa cattolica e in modo particolare del mio ministero di Vescovo di Roma». Poi indica tre terreni d’incontro che sono anche tre «sfide» di oggi. La prima è la pace. «In questo tempo di sanguinosi conflitti e violenze in luoghi vicini e lontani», i cristiani «sono chiamati ad essere costruttori di pace». Consci che la si costruisce «con la preghiera e con la penitenza» ma anche discernendo «parole, gesti e azioni da intraprendere, perché siano veramente a servizio della pace». E Bartolomeo fa sapere: «Non siamo complici del sangue versato in Ucraina». Poi denuncia il silenzio complice di fronte all'esodo dei cristiani dalle terre della Bibbia. Seconda urgenza è la «minacciosa crisi ecologica», afferma il Papa. Tema caro a Leone XIV e già punto d’incontro con il mondo ortodosso che in questo ambito è stato pioniere, ma anche con le comunità della Riforma. Serve «un’autentica conversione spirituale per cambiare direzione e salvaguardare il creato», afferma il Papa, che va di pari passo con la necessità di «una nuova mentalità in cui tutti si sentano custodi del creato che Dio ci ha affidato». Terza scommessa: le nuove tecnologie. «Consapevoli degli enormi vantaggi che esse possono offrire all’umanità», c’è bisogno di «operare insieme per promuoverne un uso responsabile al servizio dello sviluppo integrale delle persone, e un’accessibilità universale, perché tali benefici non siano solo riservati a un piccolo numero di persone e a interessi di pochi privilegiati». Come a Nicea, il Papa e Bartolomeo I tornano a recitare insieme il Padre Nostro. E al termine impartiscono la benedizione “congiunta” ed ecumenica dalla loggia del palazzo patriarcale con un abbraccio finale fra i due. Come fecero Paolo VI e il patriarca Atenagora, pionieri del cammino di conciliazione fra le Chiese.
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