Il Papa: «Il tesoro è nel cuore, non nelle casseforti della Terra»
di Agnese Palmucci, Roma
Durante l'ultima udienza generale del mercoledì, prima del Natale, Leone XIV ha esortato i cristiani a prendersi del tempo per «rendere il cuore attento e vigile nell'attesa di Gesù», perché il vero «tesoro» non è negli «investimenti finanziari», «idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio», ma in un cuore inquieto che cerca il Signore

Durante il giro in papamobile prima dell’udienza, il Papa per qualche secondo ha soffermato lo sguardo sul presepe napoletano inaugurato in piazza San Pietro lunedì scorso. Intanto un gruppo di zampognari suonava canti natalizi davanti al sagrato della Basilica, suggerendo il diradarsi del tempo che separa dal 25 dicembre. «Tra non molti giorni sarà Natale e immagino che nelle vostre case si stia ultimando o è già ultimato l’allestimento del presepe, - ha detto poi salutando i pellegrini di lingua italiana che stamattina hanno ascoltato la meditazione su “La Pasqua come approdo del cuore inquieto” -. Auspico che un elemento così importante, non solo della nostra fede, ma anche della cultura e dell’arte cristiana, continui a far parte del Natale». E proprio il «frenetico attivismo dei preparativi della festa», ha spiegato il Papa, rischia di far «vivere in modo superficiale» questo tempo, lasciando poi «spazio alla delusione», per aver perso il «vero tesoro» presente in questi giorni. La proposta, invece, è quella di prendersi il tempo per «rendere il nostro cuore attento e vigile nell'attesa di Gesù», affinché «la sua presenza amorevole diventi per sempre il tesoro della nostra vita e del nostro cuore».
Prima di arrivare in piazza San Pietro per la catechesi, incentrata sul brano del Vangelo di Matteo, (capitolo 6, 19-21), Prevost è passato a salutare, uno ad uno, le decine di persone malate che lo attendevano all’interno dell’Aula Paolo VI, per ripararsi dal freddo. «La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire - ha osservato iniziando la meditazione dell’ultima udienza generale del mercoledì, prima del Natale -. Oggi si richiede ovunque rapidità nel conseguire risultati ottimali negli ambiti più svariati. In che modo la risurrezione di Gesù illumina questo tratto della nostra esperienza?». Il tempo del riposo, ha domandato il Papa, arriverà per gli uomini soltanto quando «parteciperemo alla sua vittoria sulla morte?» oppure «questo ci può cambiare fin da ora?». Il primo passo è rendersi conto delle «tante attività» in cui ciascuno è coinvolto ogni giorno ma che «non sempre ci rendono soddisfatti», ha spiegato Leone XIV, e molte di esse «hanno a che fare con cose pratiche, concrete», come assumersi responsabilità, risolvere problemi, affrontare fatiche. Di per sé, ha continuato, «anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, non risparmiandosi», eppure «percepiamo spesso quanto il troppo fare, invece di darci pienezza, diventi un vortice che ci stordisce, ci toglie serenità, ci impedisce di vivere al meglio ciò che è davvero importante per la nostra vita». Quando ci si sente stanchi e insoddisfatti, poi, ha aggiunto, «il tempo pare disperdersi in mille cose pratiche che però non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza», e che, anzi, aumentano il «rischio della dispersione, talvolta della disperazione, della mancanza di significato, persino in persone apparentemente di successo».

Ecco il perché del «vuoto» che spesso si sente dentro, anche alla fine di giornate piene di impegni. «Perché noi non siamo macchine, abbiamo un “cuore”, anzi, possiamo dire, siamo un cuore», ha spiegato Prevost davanti ai migliaia di pellegrini riuniti in piazza per l’udienza e provenienti da tutto il mondo, e «il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità». A fornire a questa condizione una chiave di lettura alla luce della Pasqua è proprio l’evangelista Matteo, che, come ha ricordato il Pontefice, «ci invita a riflettere sull’importanza del cuore, nel riportare questa bellissima frase di Gesù: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”». La vita, dunque, è questione di tesori che non riguardano il denaro o la fama. «È dunque nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, - ha messo in guardia - non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio».
Invece, ha sottolineato il Papa, «leggere la vita nel segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum». Un “cuore inquieto” cerca senza sosta, fa protendere l’essere umano «verso il suo pieno compimento», la sua destinazione ultima, che «non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel conseguire ciò che può colmarlo pienamente, ovvero l’amore di Dio, o meglio, Dio Amore». Un tesoro, questo, che però si trova soltanto «amando il prossimo che si incontra lungo il cammino: fratelli e le sorelle in carne e ossa», ha osservato ancora papa Leone XIV, «la cui presenza sollecita e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi».
Il segreto per un cuore felice, dunque, è l’inquietudine di cui parla Sant’Agostino, è «tornare alla sorgente del suo essere, godere della gioia che non viene meno, che non delude», ha spiegato il Papa concludendo la sua catechesi, perché «nessuno può vivere senza un significato che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa. Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere di essere fatto per la pienezza, non per la mancanza». Una speranza, quella che “non delude”, che viene solo da Gesù Cristo, che «con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha dato fondamento solido a questa speranza».
I saluti dopo l’udienza
Al termine della meditazione, papa Leone XIV ha rivolto il suo saluto ai pellegrini venuti dalla Francia, dalla Nigeria, dall’Indonesia, e dagli Stati Uniti e ai fedeli di lingua tedesca, spagnola e portoghese, e ha invitato tutti a prepararsi spiritualmente al Natale. Salutando i pellegrini polacchi ha invitato tutti a vivere gli ultimi giorni di Avvento accostandosi al «sacramento della riconciliazione» e vivendo «ritiri spirituali» grazie ai quali si sperimenta «la vera pace, la gioia e il senso della vita». Ha esortato poi, rivolgendosi in particolare ai fedeli di lingua cinese e araba, «ad aprire il suo cuore all’amore di Dio e del prossimo, affinché possa essere riempito di vera pace e gioia».
Infine, il Pontefice ha rivolto il suo benvenuto ai tantissimi fedeli di lingua italiana, con un saluto speciale ai pellegrini di San Marco Argentano, presenti in piazza con il vescovo della diocesi Stefano Rega, e quelli di Fermo Centro, con l’arcivescovo Rocco Pennacchio.
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