Il Papa dal Libano: cessino gli attacchi. La lotta armata non porta a nulla
di Giacomo Gambassi, inviato a Beirut
L’accorato appello di Leone XIV al termine del suo primo viaggio apostolico. «I potenti del mondo ascoltino il grido di pace dei popoli. In Medio Oriente serve cambiare rotta». La preghiera al porto dove un’esplosione ha fatto 200 morti. La Messa davanti a 150mila persone

Il deposito è ancora lì sulla banchina del porto di Beirut, devastato e lasciato come era il 4 agosto di cinque anni fa quando era saltato in aria per un’esplosione ancora avvolta dal mistero. Uno scheletro e le macerie trasformate in memoriale della «nostra Hiroshima», come la chiamano i libanesi, che aveva ucciso oltre 200 persone, fatto 7mila feriti, costretto 300mila donne, uomini e bambini a lasciare le loro case investite da un'onda d’urto terribile. Leone XIV prega in silenzio vicino ai ruderi di uno degli angoli-simbolo dell’orrore con cui ha fatto i conti il Libano. Il Pontefice lascia una corona di fiori, accende un lume, alza e congiunge le mani di fronte al monumento commemorativo, prima di salutare, abbracciare e ascoltare le confidenze accompagnate dalle lacrime dei parenti delle vittime e di alcuni dei sopravvissuti. «Non soltanto un luogo, ma tante vite», dirà il Papa. Un’icona del Libano ferito: anche dalla crisi economica che ancora si ripercuote sulla gente e soprattutto da cinquanta anni di guerre, l’ultima quella congelata nel novembre 2024 dopo due anni di conflitto con Israele. «Porto con me il dolore e la sete di verità e di giustizia di tante famiglie», confiderà Leone XIV facendo riferimento alla tappa al porto nel discorso di congedo all’aeroporto che conclude il suo primo viaggio apostolico.

Sei giorni fra Turchia e Libano che si chiudono con un «appello accorato» alla pace, come lo stesso Pontefice lo definisce a due passi dall’aereo che lo riporta a Roma. «Cessino gli attacchi e le ostilità. Nessuno creda più che la lotta armata porti qualche beneficio», scandisce Leone XIV. Parole dietro cui si può notare la condanna sia dei blitz di Israele che ancora continuano nel sud del Paese, sia delle velleità bellicistiche di Hezbollah, i due “attori” della guerra che ha sfregiato in Libano. «Le armi uccidono, la trattativa, la mediazione e il dialogo edificano», rimarca Leone XIV invitando al confronto fra i “nemici”. Vale per la fragile tregua in Libano con il «sud che vive ancora una situazione di conflitto e incertezza». Vale per la Terra Santa. Vale per la guerra fra Russia e Ucraina. Tutte citate nel viaggio apostolico. E l’indicazione: «Scegliamo tutti la pace come via, non soltanto come meta». Come a dire, la pace resta l’orizzonte anche quando va costruita.

Nella Messa che il Papa presiede sul lungomare di Beirut davanti a oltre 150mila persone si rivolge a braccio «a quanti hanno responsabilità politiche qui e in tutti i Paesi segnati dalla guerra e dalla violenza: ascoltate il grido dei vostri popoli che invocano la pace». E chiama in causa il Medio Oriente: «Ha bisogno di nuovi approcci per respingere la logica della vendetta e della violenza, superare le divisioni politiche, sociali e religiose e aprire nuovi capitoli in nome della riconciliazione e della pace. La via della reciproca ostilità e distruzione nell’orrore della guerra è stata percorsa troppo a lungo con i deplorevoli risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Serve cambiare rotta. Da questa piazza prego per il Medio Oriente e per tutti i popoli che soffrono a causa della guerra». E il richiamo al Libano: «Chiedo alla comunità internazionale di non risparmiare sforzi nel promuovere processi di dialogo e riconciliazione».

Nell’omelia Leone XIV esorta a «trovare le piccole luci splendenti nel cuore della notte». Notte che può avere le sembianze della «povertà» e delle «sofferenze», dei «problemi che affliggono un contesto politico fragile e spesso instabile» e della «drammatica crisi economica che opprime», della «violenza» e dei «conflitti che hanno risvegliato antiche paure». Così il Pontefice incoraggia ad aprirsi alla speranza che paragona a un «germoglio» che «promette la rinascita quando tutto sembra morire». Come accade «nell’arido giardino di questo tempo storico» in cui Leone XIV invita a scorgere «piccoli semi» che «possiamo vederli anche noi, anche qui, anche oggi». Da qui l’invito «a non scoraggiarci, a non cedere alla logica della violenza e all’idolatria del denaro, a non rassegnarci dinanzi al male che dilaga». E il monito: «Disarmiamo i nostri cuori, facciamo cadere le corazze delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all’incontro reciproco».

Alla celebrazione prende parte anche una delegazione degli oltre 10mila militari di 49 Paesi impegnati nella missione Unifil che presidia il confine fra Libano e Israele. Soldati ancora sotto i raid di Tel Aviv. Il generale Diodato Abagnara che guida da giugno le truppe Onu consegna al Papa un quadro con il logo delle Nazioni Unite che si trova in ogni divisa dei contingenti Unifil e che vuole essere un rimando alla loro azione di peace-keeper, di operatori di pace in una delle aree più tese del mondo. È ancora una festa di popolo l’Eucaristia “affacciata” sul mare. Grida, striscioni, applausi accompagnano il Pontefice che taglia la folla con la papamobile e confermano come il Paese abbia affidato a Leone XIV il suo sogno di pace e fraternità.
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