Cristiani e musulmani, l'esempio prezioso del Libano

Papa Leone ha indicato per il nuovo Medio Oriente una doppia sfida, ecumenica e politica. L'idea di una terra in cui l'islam e la cristianità riconciliata sono entrambi presenti e rispettati
December 4, 2025
Cristiani e musulmani, l'esempio prezioso del Libano
Fedeli durante la Messa celebrata da Papa Leone XIV sul lungomare di Beirut nell'ultimo giorno della visita in Libano, il 2 dicembre 2025/ FOTOGRAMMA
La folla di 150mila cristiani ‒ libanesi ma anche siriani e iracheni ‒ radunati per la Messa di papa Leone XIV sul lungomare di Beirut ha plasticamente rinnovato, davanti allo sguardo del mondo, quella che fu l’intuizione di un altro Pontefice: «Il Libano è più che un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente e per l’Occidente» disse Giovanni Paolo II. Espressione usata per la prima volta durante una udienza del 1989 e poi, soprattutto, inclusa e sviluppata nell’esortazione apostolica Una speranza nuova per il Libano del 1997, frutto di un sinodo dedicato espressamente al Libano e al modello di convivenza che questo piccolo Paese rappresenta per il Medio Oriente. Messaggio ribadito martedì da papa Prevost: «Penso che una delle grandi lezioni che il Libano può insegnare al mondo è precisamente mostrare una terra in cui l'islam e la cristianità sono entrambi presenti e rispettati e c'è la possibilità di vivere insieme ed essere amici». Una “possibilità” incarnata secondo Leone XIV dalle testimonianze di cristiani e musulmani che, dopo aver avuto i loro villaggi distrutti, sapevano ancora dire «possiamo stare insieme e lavorare insieme». Una «lezione importante» per Europa e Nord America, aggiunge il Papa, dove si dovrebbe «forse avere un po’ meno paura e guardare ai modi di promuovere un dialogo autentico e il rispetto». Un invito a percorrere le “strade della convivenza” e che dà un contenuto anche sociale e politico all’appuntamento nel 2033 a Gerusalemme per una riconciliazione, questa tutta teologica e da costruire con il dialogo ecumenico, all’interno della cristianità. Nell’auspicio di papa Leone vi si può leggere, come inscritta, una doppia sfida: ecumenica, ma anche politica. Non può sfuggire che, di fatto, negli ultimi decenni è in atto una diaspora dei cristiani dei diversi riti e denominazioni del Medio Oriente, fenomeno che, in misura diversa, riguarda anche le comunità in Israele e in Palestina. In altri termini il rischio che una riunione dei leader della cristianità al Cenacolo tra otto anni avvenga in una società dove i cristiani d’oriente si sentono stranieri, o al massimo tollerati, va scongiurata in nome di quella pace disarmata e disarmante che è la cifra di questo nuovo Pontificato. “Shalom”, pace che significa pienezza delle relazioni umane, non semplice assenza di guerra, e quindi anche pienezza di relazioni sociali e di rispetto dei diritti umani.
Una meta ideale, di cui Gerusalemme è il simbolo, da conquistare però con un arduo percorso. E il Libano rappresenta per questo – in una regione che dopo il 7 ottobre si va plasmando con la violenza e in nome di una terribile radicalizzazione delle diverse comunità e di contrapposti fondamentalismi – un messaggio di convivenza fragile, fragilissima, da proteggere, e per questo anche da aggiornare. Non può sfuggire come a Beirut si sia eletto a inizio gennaio il presidente Joseph Aoun dopo oltre due anni di stallo e che l’attuale governo del premier Nawaf Salam abbia come obiettivo quello di ripristinare la sovranità nazionale, attraverso un difficilissimo disarmo delle milizie di Hezbollah oltre che tutelare i confini rispetto alle ingerenze di Israele. Inoltre, la devastante crisi economica (-6% del Pil e 192% di inflazione in un anno) hanno stremato un Paese che con la Rivoluzione del 17 ottobre 2019 scese in piazza chiedendo riforme, lotta alla corruzione e la fine di un sistema politica costituzionale accusato di essere la genesi dell’ingovernabilità libanese. La piazza per settimane gridò slogan per chiedere uno stato laico e transconfessionale. In altri termini la “democrazia consociativa” libanese ‒ nata con gli accordi di Taif al termine della guerra civile libanese che attribuisce le cariche politiche attraverso un bilanciamento per appartenenza comunitaria: la presidenza della repubblica ai cristiani maroniti, il primo ministro ai sunniti e la presidenza del parlamento agli sciiti – sembra ora in grande difficoltà se non inadeguata a rappresentare il “messaggio” di convivenza del Libano. Messaggio che la “salita” a Gerusalemme del 2033 non permette in nessun modo di archiviare o nascondere nella rassegnazione. Il nuovo Medio Oriente che la storia, tragicamente, va riplasmando ha bisogno della presenza dei cristiani come elemento di moderazione e capaci di riconciliazione. Ma anche, e forse soprattutto, ha bisogno del “laboratorio Libano” per costruire il «concetto di piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del temine minoranze», come indicato dal Documento sulla Fratellanza umana di Abu Dhabi. Il saluto di Leone XIV a Beirut potrà essere anche un arrivederci al Gerusalemme nel 2033 se avremo cristiani riconciliati fra loro, ma anche a pieno titolo cittadini nella loro Terra Santa.

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