Anche nella vecchiaia lo spirito si può rivolgere al futuro

La gioia è ancora possibile avvicinandosi alla pienezza. Perché se il fisico declina, possiamo guadagnare in saggezza e spiritualità. Senza nostalgie del passato
December 3, 2025
Anche nella vecchiaia lo spirito si può rivolgere al futuro
Con Monsignor Vincenzo Paglia, presidente emerito della Pontificia accademia per la vita, inizia oggi un percorso settimanale di riflessione sull’età anziana e lo sguardo oltre l’esistenza terrena.
«La vecchiaia è tempo di brace, non di cenere». Così, Saint-John Perse, un poeta francese, amava definire la vecchiaia. L’inevitabile decadimento del corpo, che nella vecchiaia appare in tutta la sua evidenzia, riesce a convincere anche i più scettici sulla radicale fragilità della creatura umana. Ma non è una condanna senza appello. La vecchiaia è anche un tempo opportuno per la crescita interiore. I vecchi sanno che arriva un momento della vita nel quale l'armonica crescita della persona, nella sua componente biologica e in quella spirituale, subisce un cambiamento dapprima quasi inavvertito, ma poi sempre più evidente. E, se l’esperienza è compresa e accettata, accade che con il trascorrere degli anni la componente spirituale può crescere e arricchirsi, mentre il corpo continua il suo lento e progressivo cedimento, fino al disfacimento definitivo. Perciò, se fino a una data età l'individuo è cresciuto in maniera armonica e graduale, e allo sviluppo del corpo si è accompagnato anche lo sviluppo dell'intelletto, della morale, della spiritualità, di tutto quello che rende una per sona tale, arriva un momento dell'esistenza in cui la parte biologica, raggiunto il suo apice, inizia un graduale declino, mentre la parte spirituale continua la sua inarrestabile crescita verso il massimo della sua potenza, come descrive Paolo in una maniera tanto eloquente quanto sgradevole: «Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno» (2 Cor 4,16). L’apostolo ci ricorda che all'inevitabile disfacimento della parte biologica può corrispondere una crescita interiore; alla morte inarrestabile delle cellule che compongono il corpo, può corrisponde anche il rafforzarsi del senso di una vita indistruttibile.
Secondo gli scienziati sono ben cinquanta miliardi le cellule del nostro corpo che ogni giorno muoiono. Di queste la maggior parte si rigenera, ma molte altre concludono per sempre la loro funzione. Si potrebbe allora dire che, come le cellule, muoiono perché l'organismo viva, così il corpo muore perché la persona possa continuare a vivere. Il fisico invecchia, ma lo spirito dell'individuo può ‘ringiovanire’. Se l’età rende sempre più visibile il decadimento è però possibile far emergere aspetti che negli anni precedenti forse erano presenti ma bloccati dall’ansia della vita attiva, competitiva, o anche dalla immaturità e dalla presunzione salutista. Durante l’invecchiamento, perciò, si possono scoprire energie e pensieri che prima erano come bloccati. Anche la scienza lo suggerisce. Ad esempio, Elkhonon Goldberger, un neuropsicologo contemporaneo, nelle sue ricerche sul cervello, mostra che l’invecchiamento di questo organo così delicato non è solo rovina, contiene anche prospettive positive: «È il momento di smettere di pensare all’invecchiamento delle nostre menti e dei nostri cervelli esclusivamente in termini di perdite, mentali e no. Quello della mente porta dei guadagni equivalenti. Quando invecchiamo, possiamo perdere la facoltà della memoria e di una concentrazione prolungata. Ma a mano a mano che invecchiamo, possiamo guadagnare in saggezza, o almeno in expertise e competenza, e nessuna delle due cose è da disprezzare» (Il paradosso della saggezza, 2005, p. 25). In aggiunta a quanto Golberg nota sul piano della mente, vi è anche il progresso spirituale e interiore che l’uomo e la donna possono avere proprio avanzando negli anni: si può crescere nell’amore, si può diventare meno impulsivi, meno rigidi e più benevoli, meno severi e più comprensivi, più miti e più misericordiosi. Quando ciò avviene, la vecchiaia non comporta la sterilità, ma una nuova feconda linfa che fa fiorire la vita, come scrive il salmista: «Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi» (Sal 92,15). Siamo sulla linea di quel che Gesù chiese all’anziano Nicodemo di «nascere dall’alto» (Gv 3,3).
È molto bella questa testimonianza di un uomo spirituale come Olivier Clément: «La vecchiaia per me è arrivata senza che ci pensassi. Mi hanno sempre più preoccupato le rughe che mascherano il volto del cristianesimo delle mie». Chi lo ha conosciuto – come è capitato a me - sa bene cosa significano queste parole! E continua: «Si agisce (anche se sempre di meno, è vero), si prega (non molto più di quanto si agisca), si è piuttosto tentati di leggere romanzi polizieschi. Poi tutto d’un tratto arrivano le precarietà. Il petto si stringe di notte nell’insonnia, le gambe non vogliono camminare. Alcuni hanno la fortuna di rimanere attivi, svelti fino alla fine. Muoiono solo combattendo. Un po’ li invidio. Eppure la cosa più importante è di non scivolare nel disgusto di sé, sentimento che porta alla depressione e alla cattiveria. Ai nostri giorni, nei paesi con una eccessiva attenzione alla salute, molti arrivano a sopravvivere miseramente. Vita degradata e degradante, quando il cervello e le sue funzioni sono intaccati. A me che ho la fortuna di essere ancora in me, che Dio mi dia l’umiltà – sì, sono anch’io qualcosa di disgustoso – e mi dia anche la fiducia… Se riusciamo a pregare un po’ nella nostra debolezza. L’età e la malattia ci tolgono il peso di molti rancori, di molti sogni, ci aiutano a perdonare coloro che ci hanno offesi, come d’altronde chiediamo nel Padre Nostro. E poi, per quanto riguarda coloro che non abbiamo offeso, rimane la penitenza e, anche se non sempre, una specie di recupero… Nella malattia che mi ha immobilizzato da due anni, ho scoperto la virtù dell’attesa. Saper aspettare. Prima c’era un’immediata coincidenza tra il volere e il fare… Devo imparare ad aspettare. Aspettare semplicemente, come ci aspetta Dio stesso. In questo ho scoperto una dimensione della speranza: la pazienza di attendere. Così il mio tempo si svolge tutto intorno all’attesa. Aspetto Dio: ecco ciò che faccio da malato e da vecchio».
Possiamo dire che si può gioire anche da vecchi. Sì, anche mentre si vive l’indebolimento del proprio corpo e quello della propria psiche. È una sfida che si allarga sempre più. E va affrontata con saggezza. E si può vincere. La prima condizione è accettare la vecchiaia come un tempo importante della vita, soprattutto mentre gli anni da vivere si allungano, come accade oggi. Quindi: guardarsi dal vivere nella nostalgia del passato, e avere lo spirito rivolto verso il futuro. Vivere unicamente di ricordi e di rimpianti porta solo amarezza. Per questo la vecchiaia va preparata sin da giovani. Si prepara infatti attraverso quello che si vive, con le scelte che si fanno, con le abitudini che si radicano, con la consapevolezza del tempo che passa. Il domani è il frutto di quel che si semina fin dalla giovinezza. E fa parte di una a semina fruttuosa avere amici accanto. La solitudine è sempre brutta, come pure l’autoreferenzialità. Al contrario, l’amicizia è sempre consolante. È la grande sfida di questo tempo. A tutte le età. Soprattutto in una cultura «digitale» che permette di essere tutti «interconnessi» ma non per questo legati e soprattutto amici. Eppure, sono proprio l’amicizia e l’ospitalità che possono sconfiggere sia la solitudine che la paura degli altri, come anche il timore di aprirsi al nuovo, la chiusura allo straniero e di vivere una nuova fecondità nel rapporto con le giovani generazioni. Certo, c’è bisogno di favorire una nuova cultura relazionale che aiuti anche gli anziani a vivere una bella vecchiaia, fatta di gioia, di accoglienza, di bontà, di gratuità, di preghiera, di consolazione. E i credenti – a partire dai cristiani – debbono riscoprire il suggerimento evangelico ad avere anche da anziani il culto della preghiera, dell’intercessione, della compagnia… al di là dell’utile e del produttivo. La gioia è possibile anche nella vecchiaia, ma richiede che sia compresa non come la fine della propria esistenza ma come l’avvicinarsi alla pienezza, all’Eterno. È il senso della parole di Paolo a Timoteo: «Sto per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno» (2 Tm 4,6-8). 

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