mercoledì 16 agosto 2017
La Royal Commission aveva proposto di non rispettare il «sigillo della confessione». I vescovi confermano l'impegno a combattere gli abusi sessuali ma rifiutano in nome della libertà di religione.
Il presidente della Conferenza episcopale australiana Danis Hart

Il presidente della Conferenza episcopale australiana Danis Hart

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I vescovi australiani ribadiscono la linea della tolleranza zero sugli abusi sessuali nella Chiesa e la ferma volontà di collaborare con le autorità, ma ricordano altresì l’impossibilità di riportare notizie di abusi apprese in confessionale, per l’inviolabilità del sigillo sacramentale. Lunedì scorso la “Commissione reale” incaricata dal governo di indagare le risposte delle istituzioni alla piaga degli abusi sessuali su minori, ha reso noto 85 «raccomandazioni» su come migliorare il sistema giudiziario australiano sul tema. Tra queste, anche il rendere un reato la mancata denuncia da parte di un sacerdote di molestie o violenze su minori apprese, appunto, nell’amministrare il sacramento della Riconciliazione.

«La Confessione nella Chiesa cattolica – ha affermato in un comunicato rilanciato anche dall'agenzia Sir l’arcivescovo di Melbourne, Denis J. Hart, presidente della Conferenza episcopale australiana – è un incontro spirituale con Dio attraverso il sacerdote. È una parte fondamentale della libertà religiosa ed è riconosciuta dalla legge in Australia e in molti altri Paesi. Deve rimanere così anche qui nel nostro Paese. Al di fuori di essa, ogni offesa contro i bambini deve essere denunciata alle autorità. Siamo assolutamente impegnati a farlo».

Hart è intervenuto anche martedì mattina ai microfoni di un’emittente radiofonica per difendere quanto scritto dal gesuita Frank Brennan, docente di diritto all’Università cattolica australiana e di diritti umani e giustizia sociale all’Università di Notre Dame. Padre Brennan, oltre a spiegare cosa comporta per un sacerdote il segreto confessionale, ha anche fatto notare come «sia ancora meno probabile che un abusatore possa presentarsi in confessionale sapendo che il sigillo sacramentale non sarà rispettato». Per l’arcivescovo di Brisbane, Mark Coleridge, «nel sacramento della Penitenza il rapporto tra il sacerdote e il penitente è diverso qualsiasi altro, perché il penitente non parla a un prete, ma a Dio, il prete è solo un mediatore». Ora sarà il Parlamento australiano a prendere in carico le «raccomandazioni», ha aggiunto il presule, ed è «con esso che la Chiesa deve parlare», facendo comunque intravedere la preoccupazione che ha suscitato il segnale mandato dalla “Commissione reale”.

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