lunedì 9 giugno 2025
Con la riflessione del docente dell'Angelicum si conclude la serie iniziata da padre Spadaro sulla teologia nei tempi moderni
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Padre Antonio Spadaro ha avviato alcuni mesi fa un’interessante riflessione sulla necessità di un cambio di passo della teologia. La tempesta sedata è l’allegoria scelta per descrivere l’approccio proposto: viviamo nella condizione in cui «ciò che prima valeva a spiegare il mondo, le relazioni, il bene e il male, adesso sembra divenuto inservibile. Pare probabile che quanto ci pareva normale della famiglia, della Chiesa, della società e del mondo non tornerà più come prima». Occorre accettare il rischio di cavalcare le onde, «le trasformazioni culturali e sociali che oggi si sono acuite, ma anche le nostre paure [...] La teologia, dunque, deve farsi carico di pensare le onde, oltre che le rive di approdo, di gettarsi nelle rapide e di pensare rapidamente».

Le indagini sullo stato di salute della Chiesa e dei credenti, da Marco Marzano nel 2012, a Franco Garelli nel 2020 fino a Luca Diotallevi nel 2024, denunciano il ritardo della teologia dal tempo attuale e richiamano all’urgenza di un cambiamento di rotta. Se fossimo in politica, quella di Antonio Spadaro si potrebbe definire una posizione movimentista e, di conseguenza, sarebbe bilanciata dal richiamo di Bruno Forte e Giuseppe Lorizio alla scientificità della teologia e alla necessità naturale di luoghi adatti («L’accademia, la biblioteca, l’aula, la cattedra») in cui svilupparla. La discussione sembra avviarsi verso un vicolo cieco, un’aporia invincibile.

La difficoltà, a mio avviso, risiede nell’aver focalizzato l’attenzione sulla capacità della barca e del suo capitano nell’affrontare le onde, cioè nella preoccupazione esclusiva di costruire una teologia solida e coerente, ma inutilizzabile da chi ne dovrebbe beneficiare. Questo, a ben guardare, è l’invito alla sapidità richiesta da Giuseppe Marco Salvati o, riprendendo il riferimento culinario di Lorizio, chiedersi se questa teologia sia un cibo che sfama quanti soffrono per la mancanza di una parola di speranza che dia senso e significato alla loro esistenza. La parabola del samaritano misericordioso mi aiuta a fare maggiore chiarezza.

Il viandante mezzo morto costituisce un problema morale per il levita e il sacerdote, figure apicali del Tempio, che non vogliono correre il rischio di diventare impuri per l’eventuale contatto con un cadavere. Il samaritano, prontamente e rapidamente, assiste il moribondo accettando il pericolo dell’impurità. Un caso ancor più significativo è rappresentato dall’emorroissa: essa, alla notizia del passaggio di Gesù, infrange rapidamente la legge di niddah, che prevedeva l’isolamento della donna mestruata a causa della trasmissibilità della sua impurità a chiunque l’avesse toccata o fosse stato toccato da lei o dalle cose da lei usate. La donna, invece, si fa largo nella folla e addirittura tocca Gesù! La Torah, come per noi in qualche modo la teologia, insegna ad amare Dio e a non peccare ma, talvolta, impedisce di fare il bene. Il samaritano accetta il rischio del peccato pur di compiere il bene e l’emorroissa, dopo aver assolto la Legge come previsto, finalmente guarisce disubbidendo proprio a quella stessa Legge che aveva scrupolosamente osservato.

La teologia lenta prende le mosse dalla convinzione di poter valutare la qualità della vita morale osservando quante volte le regole sono state seguite o infrante. Al contrario, come dice Timothy Radcliffe, la Chiesa dovrebbe essere con i peccatori, senza rimproverarli di stare dove non dovrebbero essere. Dovunque essi siano, in qualsiasi situazione, quello è il punto di partenza del viaggio verso Dio. Cominciare da dove ci si trova. In qualsiasi situazione caotica, è possibile raccontare una storia che le dia un senso, una storia che conduca al Regno. La teologia dovrebbe aiutare questo lavoro di dialogo e incontro.

Non auspico l’abolizione della teologia lenta né incito alla ribellione, ma invito anch’io, come altri prima di me, alla lettura del giornale. Karl Barth affermava che «è necessario che tra la Bibbia e il giornale, come tra i due poli di un arco elettrico, comincino ad accendersi lampi di luce per rischiarare la terra». Se è pur vero che si condanna il peccato e non il peccatore, è altrettanto vero che per troppo tempo ci si è preoccupati di valutare il peccato ignorando le condizioni del peccatore, di additare il peccato dimenticando di denunciare lo stato di povertà ed emarginazione in cui vive il peccatore.

Voglio affermare che gran parte dell’attuale teologia nasce in un’epoca che si sta eclissando per l’apparire della società digitale. La teologia rapida, sapida, è una teologia che sa dialogare con l’altro abbandonando le posizioni fondamentaliste, dove esiste un solo linguaggio per dare qualsiasi risposta, e quelle apologetiche, dove ogni «problema è riportato alla sua radice di peccato, all’accusare le persone di stare in una condizione dove non dovrebbero stare e che l’unica soluzione possibile è abbandonare quella condizione per entrare in una nuova dimensione di continua purificazione per giungere nella virtuosità desiderata», come scrive Radcliffe.

Oggi abbiamo bisogno sia di capitani coraggiosi che sappiano affrontare la violenza del mare, sia di salvatori che si gettino «nelle acque agitate, nell’enorme rapida che travolge il mondo, per nuotare controcorrente. Nuotare non da soli, ma insieme alle donne e agli uomini di buona volontà, laici o ministri di qualsiasi culto, con lo scopo di raggiungere, costruire, luoghi dove regna la giustizia e la fratellanza», come ha ben scritto Salvatore Nata.

Per dare concretezza a quelle che possono essere facili teorie, porto il caso dell’Intelligenza Artificiale. Giustamente la Chiesa ne parla perché è coinvolta la dignità della persona e la Chiesa ha visioni e argomenti da portare. Eppure il suo focus è sulla morale, sostiene l’etica degli algoritmi e pretende dalla computazione il comportamento virtuoso che non riesce ad avere dalle persone. Se tutto è connesso, dovremmo preoccuparci anche dell’impatto ecologico dell’IA, delle nuove condizioni sociali che crea, della digitalizzazione forzata di società tecnologicamente non avanzate, delle condizioni di lavoro e di non lavoro che determinano, dei germi della nuova società che sta nascendo.

La teologia rapida deve saper guardare avanti e offrire orientamenti per il mondo che verrà.

Docente di Teoria dei media digitali Issr Mater Ecclesiae - Angelicum


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