mercoledì 7 gennaio 2015
​Bergoglio tene a ricollocare il papato in un contesto di comunione non impositivo ma propostivio, non autoritario ma autorevole.
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Gli attacchi che sono stati mossi da certa stampa contro papa Francesco sono sintomatici del malessere generato, in alcuni ambienti, dalla carica profetica del suo magistero. Esso rappresenta una decisa svolta nel faticoso cammino della Chiesa postconciliare. È sufficiente riflettere sulla sua predicazione, spesso a braccio, sul tema della misericordia, come anche su quello ecclesiologico, riguardante una visione di Chiesa decentrata, quindi in periferia. E cosa dire della centralità dei poveri nel suo magistero? Per non parlare dell’atteggiamento inclusivo rispetto ai lontani, non solo geograficamente, ma anche dal punto di vista esistenziale. Ecco perché i cambiamenti che egli sta apportando vanno ben al di là del fatto che baci i bambini, lasci vuota la sedia del concerto di corte e viaggi con una borsa in cui c’è un libro il breviario e il rasoio. Il vero mutamento sta nel fatto che l’azione di Francesco tenda a ricollocare il papato in un contesto communionale non impositivo, ma propositivo, non autoritario, ma autorevole. La gente, oggi, si attende un discorso chiaro, senza fronzoli, preciso, che si faccia carico del rischio per la salvezza dell’uomo col suo bagaglio di sofferenza e di angoscia, nella consapevolezza che la Parola di Dio vale davvero solo quando trasforma la paura in speranza. E questo è possibile solo attraverso l’esperienza vissuta, ossia destrutturando tutti i discorsi teologici in forme pratiche di azione nel mondo. Com’è noto, il testo programmatico che sintetizza l’indirizzo impresso dal papa è certamente l’esortazione apostolica Evangelii gaudium  (EG). Leggendo questo documento si evince che la sua elezione alla Sede di Roma è davvero espressione di una restituzione della fede dalla “fine del mondo”, dalla periferia oltreoceano del “Nuovo Mondo”, per ridare impulso laddove il progresso non è sempre coinciso con le istanze umane e spirituali. Ecco che allora la missione, secondo Francesco, non può essere percepita come una realtà a sé stante, rispetto alle attività pastorali delle Chiese particolari, ma piuttosto come un elemento imprescindibile per dirsi davvero cristiani. Vi è poi l’affermazione del grande mistero dell’incarnazione di Dio fatto uomo nella storia per cui, con papa Bergoglio, non siamo più in presenza di un Dio absconditus, nascosto e distante, che guarda la nostra umanità dolente dall’alto della sua nuvoletta celestiale, ma, al contrario, di una manifestazione amorevole del Cristo, Dio fatto uomo, dell’Alfa e dell’Omega, del Principio e della Fine. Se la dimensione religiosa è stata spesso percepita nella nostra società globalizzata come un qualcosa di accessorio è perché non si è compreso che la missione non può rimanere confinata nelle sacrestie, ma abbraccia il mondo intero. D’altronde, un messaggio evangelico asettico, disincarnato rispetto alla vita della gente, non serve: è oppiaceo, alienante, come se fosse espressione di una civiltà senza religione. Se per secoli l’Europa ha visto nel cristianesimo il proprio elemento aggregante, oggi, stando alla cronaca, non è più così in molte parti del mondo. La cosiddetta Civitas medievale è impressa sui muri delle cattedrali del Vecchio Continente, sugli affreschi, sulle tele e sui marmi di Raffaello e Michelangelo, Piero della Francesca, Botticelli o Donatello, ma non certo nei comportamenti di una società planetaria, come la nostra, bisognosa di redenzione. Ecco perché è necessario comprendere il mondo, saperlo interpretare, leggendo attentamente i 'segni' del tempo che ci appartiene, un tempo, è il caso di dirlo, segnato da scenari fortemente contraddittori: inferno e paradiso. È chiaro dunque che, in una società come questa occorre vincere ogni forma di abulia o inerzia tipiche di coloro che si lasciano trascinare dalla corrente della vita, come se fossero aggrappati su una zattera alla deriva, in balìa delle onde.  A pensarci bene, la metafora della chiesa del grembiule, tanto cara ad un grande pastore del Novecento, don Tonino Bello, è quella che forse meglio sintetizza il magistero di papa Francesco. Oggi sappiamo che ondate di religiosità, unitamente ai flussi di una crescente secolarizzazione, hanno generato nella gente fanatismi a non finire, noia e disimpegno, per ignavia, stanchezza o delusione. Non possiamo più permetterci di languire nei tepori delle sacrestie, supponendo che così facendo si salvi il mondo. Qui non discutiamo affatto sulle verità rivelate, ma sulle modalità che perseguiamo nell’affermarle. Ecco perché in questo veloce e complesso divenire in cui come Chiesa siamo sempre più un piccolo gregge, il dono dell’ascolto, in periferia, dialogando con rispetto, è rimasto il modo migliore e più efficace per comunicare il Vangelo e testimoniare una relazione di vita da cui far scaturire la bellezza dell’essere cristiani. Grazie papa Francesco!
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