Ma che "cura" sarebbe l'aborto? Il cortocircuito di Strasburgo

Il voto di mercoledì chiede una pratica «sicura e accessibile» in tutta l'Unione Europea. E propone l'idea di una "cura" rovesciata: quella che nega la vita e non sa farsene carico, dal suo principio alla fine
December 20, 2025
Ma che "cura" sarebbe l'aborto? Il cortocircuito di Strasburgo
Manifestazione dell'associazione Pro Vita in Piazza della Repubblica a Roma /Imagoeconomica
Mettiamo pure di crederci. Che, come ci dicono gli esperti, la risoluzione di Strasburgo per l’aborto “sicuro e accessibile” in tutta l’Unione Europea sia poco più che un generico appello; che tanto poi ci penseranno Commissione e Consiglio, l’anno prossimo, a fermare la corsa della “Iniziativa di Cittadini europei” per facilitare le interruzioni di gravidanza anche nei Paesi dove non sono del tutto liberalizzate; e che, alla fine, a decidere sono sempre i singoli Stati. Ma a noi piace guardare i fatti dritti negli occhi. E il voto col quale mercoledì, a larga maggioranza, l’Assemblea parlamentare ha detto che l’Europa oggi ha bisogno di più aborti dice molte cose. I sostenitori della petizione, firmata da un milione e 200mila cittadini dei 27 Paesi nell’anno previsto dalle regole Ue per le iniziative popolari, dicono che oggi abortire può essere molto complicato e pericoloso perché – si legge nel sito dell’Iniziativa – «più di 20 milioni di donne in tutta l’Ue non hanno accesso a cure abortive sicure». Potremmo andare avanti a citare gli organizzatori che parlano anche di «ingiustificabile stress economico e mentale per loro e per le proprie famiglie».
Ma confessiamo di non riuscire proprio ad andare oltre quella espressione sottoscritta con il loro voto da 358 deputati (inclusi molti italiani): che “cure” sarebbero quelle “abortive”? Esiste un ossimoro più paradossale di questo? Cosa “cura” l’aborto? La gravidanza è forse una malattia? Il bambino al centro della “cura abortiva” di quale “cura” sarebbe oggetto? E la mamma è “curata” da un aborto, o in lei si apre una ferita che tutt’attorno le dicono di nascondere e tenere per sé? Se la petizione chiede che si renda l’aborto più “accessibile e sicuro”, i parlamentari convinti che si tratti di una “cura” hanno aggiunto, con un emendamento, che sarebbe bene includerlo nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, accanto al “Diritto alla vita” (articolo 2). Potranno replicarci: il diritto alla vita è di chi è già nato. Ma nella società dell’inclusione, delle libertà e dei diritti per tutti, il solo escluso sembra l’essere umano che ha il torto di essere ancora nel grembo materno, discriminato per la sua condizione di “non-nato” pur essendo con ogni evidenza vita umana. “Uno di noi”, come disse con felicissima espressione Carlo Casini lanciando nel 2012 l’Iniziativa precedente e opposta a questa e che raccolse 800mila firme in più ma venne fermata dai Palazzi europei perché chiedeva l’inosabile: di lasciar stare l’embrione, considerandolo soggetto di diritti in quanto vita umana individuale.
Questa Europa alla quale manca il coraggio di guardare la vita che chiede il solo diritto di nascere è la stessa che si sta avvitando in una spirale demografica negativa e che, come risposta politica, non sa inventarsi altro che questo tragico malinteso dell’auspicio di poter presto avere più aborti e, dunque, meno nascite. Un messaggio persino chiarissimo, disperato nel suo lodare la prospettiva di erigere l’aborto a diritto dell’Unione Europea come forma di “libertà”. Può forse, un’Europa che ammette questo, pensare di ornare a fiorire di nuova vita, di futuro, di speranza, di creatività, di idee e sogni? Aver smarrito la cognizione elementare del punto di svolta simbolica di un voto come quello sulla petizione per l’aborto come diritto mostra che a essersi persi nella nebbia etica e ideale sono i fondamenti stessi dello stare insieme come popoli uniti da un destino e da un desiderio comune. Desiderio di cosa, signori eurodeputati? Di vite spente sul nascere come obiettivo della vostra azione di nostri rappresentanti? Di giovani ai quali si dice che concepire può essere un male da curare, salvo poi chiedersi come mai le culle di un continente mai tanto vecchio sono sempre più vuote?
Sì, il voto di Strasburgo potrà essere dimenticato quando – forse, si spera – le istituzioni di governo della Ue non arriveranno a un accordo unanime e archivieranno “My voice my choice” come “Uno di noi”. Ma non vogliamo dimenticare il giorno in cui l’espressione democratica dell’Europa, sulla cui identità a lungo ci siamo interrogati prima del più recente rinnovo del Parlamento di Strasburgo, ha detto che una nuova vita può essere un male che va estirpato in modo più efficiente. Siamo davanti all’espressione plastica di un cortocircuito che allontana quote crescenti di opinione pubblica da un’idea di unità dei popoli costruita attorno alla “cura” rovesciata: quella che nega la vita e non sa farsene carico, dal suo principio alla fine. Stiamo parlando della stessa Europa dove si espande il favore – politico, mediatico e di mentalità diffusa – verso il suicidio assistito e l’eutanasia, e che davanti all’irrompere della guerra alla sua frontiera orientale ha saputo parlare sin dal primo giorno quasi solo la lingua della risposta armata, ignorando ogni altro registro, condannandosi all’afonìa diplomatica e alla dipendenza rispetto al dilagare della legge del più forte, dettata da altri. «Se non c’è una speranza attiva, se manca una utopia realistica non c’è futuro, non c’è impegno per la vita e prevale la morte. Dobbiamo essere consapevoli del primato della morte nelle nostre società e della conseguente sottovalutazione del valore della vita. L’insensibilità alla morte di milioni di persone, procurata da deliberate scelte politiche, porta allo sfaldamento dei legami culturali che tengono insieme l’umanità. Per ricostituirli è necessaria una cultura della vita contro una cultura della morte. Cultura della vita significa reclamare innanzitutto la difesa della vita come dovere prioritario delle autorità politiche». L’ha scritto pochi mesi fa su Avvenire una voce laicissima come quella di Luciano Violante. Europa, cura te stessa.

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