lunedì 19 maggio 2014
​Il patriarca latino di Gerusalemme racconta l'attesa. Previsto anche l'incontro con 500 piccoli profughi dalla Siria.
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L’immagine è quella della semina. «Il Papa viene per seminare pace a livello politico, interreligioso, ecumenico». Ma per il raccolto bisognerà avere pazienza, raccomanda il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. «Intanto l’arrivo del Santo Padre ci dà speranza e un supplemento d’anima». A meno di una settimana dall’inizio dello storico viaggio di Francesco in Terra Santa, il patriarca fa il punto della situazione in questa intervista ad Avvenire e capovolge con le sue parole lo sguardo prevalente dei media sulla visita. Nei giorni scorsi lei ha parlato di episodi di odio che avvelenano il clima della vigilia. Come è la situazione?Le mie parole riguardavano precisi episodi. Ma i giornali le hanno enfatizzate molto. Infatti non possiamo dire che tutta la visita del Santo Padre venga avvelenata dal gesto di imbrattare i muri di una chiesa con scritte violente. Anzi posso affermare che tutto è stato preparato bene, con grande amore da parte della gente e noi aspettiamo il Papa con gioia.In Occidente si era percepito un clima diverso.Qui invece siamo ottimisti e pronti a ricevere il Papa fin dal suo arrivo in Giordania, dove il governo si è impegnato al meglio. Il nostro patriarcato latino ha messo a disposizione dei fedeli centinaia di autobus per portarli alla Messa nello stadio di Amman. Lo stesso faremo per la Messa di Betlemme. Siamo coscienti che con l’arrivo di Francesco tutto il mondo ci guarda e faremo di tutto per rispondere alle aspettative.Anche la presenza del patriarca maronita Bechara Rai ha avuto una certa risonanza. Lei come risponde alle polemiche?Tutti i patriarchi sono invitati da me. Tutti insieme formiamo il Consiglio dei patriarchi cattolici del Medio Oriente e il patriarca Bechara Rai è un ospite gradito e benvenuto come quelli copto, siriaco e iracheno. Non capisco dunque dove sia la sorpresa. Arriva il Papa. È più che normale che i patriarchi vicini vengano a salutarlo. A meno che le polemiche non servano a distogliere l’attenzione dal fatto principale che è la presenza del Santo Padre tra noi. Lei si attende anche un pensiero del Papa sulla Siria?Anche se la visita del Pontefice è stata organizzata principalmente per commemorare l’incontro di 50 anni fa tra Paolo VI ed Atenagora, è innegabile che abbia anche una dimensione politica internazionale. Il fatto che in Giordania incontrerà 500 bambini siriani rifugiati vuol dire che egli ha a cuore la difficile situazione di quel Paese. Allo stesso tempo il suo vuole essere un incoraggiamento a chi accoglie i profughi e alle organizzazioni come la Caritas che se ne prendono cura. E lei personalmente che cosa auspica?Auspico la pace e quindi il ritorno dei profughi nelle loro case. Per cambiare un regime non si possono uccidere 140mila persone e provocare la fuga di 3 milioni di uomini donne e bambini. Noi lo abbiamo detto più volte. Purtroppo non hanno ascoltato la nostra voce. Questo non vuole dire che la Siria non abbia bisogno di riforme, ma finora si è pagato un prezzo troppo alto per ottenere quasi niente. E anche l’Occidente ha le sue responsabilità perché continua a rifornire di armi le parti in conflitto.Quali conseguenze potrebbe avere la visita del Papa sul processo di pace tra Israele e Autorità palestinese?Vedo questa visita come una semina e noi speriamo che i suoi discorsi diventino un programma di azione per raggiungere la pace. Non dobbiamo però illuderci che le cose cambino nel giro di poco tempo. Si tratta di un processo lungo e complesso, ma sappiamo che quando il Papa si è messo a pregare con tutti gli uomini amanti della pace, è riuscito a evitare l’estendersi della guerra in Siria. Noi crediamo sempre più nella forza della preghiera e siamo sicuri che la presenza, il buon esempio, le parole, il sorriso del Papa ci faranno avanzare lungo questa strada.In questo senso l’incontro con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I potrà dare un contributo?Le divisioni tra i cristiani sono dolorose. Ma da 50 anni viviamo una nuova stagione. Siamo 13 Chiese con differenti riti e mai dobbiamo stancarci di tendere verso l’unità. L’incontro ci fornisce un supplemento d’animo per incrementare questa ricerca anche nella vita di tutti i giorni, come già stiamo facendo. Periodicamente si leva l’allarme per una Terra Santa senza più cristiani. Com’è in realtà la situazione?Questo non avverrà mai. Non dobbiamo avere paura, perché Gesù ci ha detto: "Io sarò con voi fino alla fine dei giorni". È vero, siamo pochi ma nel corso della storia è già accaduto tante volte che una minoranza sia diventata maggioranza e viceversa. Non abbiamo nessun complesso di inferiorità, anzi siamo orgogliosi della nostra identità cristiana e grati per la solidarietà e gli aiuti che ci giungono dalle altre Chiese, in special modo dalla Chiesa italiana, anche tramite i pellegrini che giungono a visitare la Terra Santa.
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