martedì 27 giugno 2023
Domenica scorsa sono stati ordinati nella Cattedrale del capoluogo trentino dal vescovo Lauro Tisi. Erano accompagnati dalle moglie e da alcuni dei loro figli. Uno ne ha 7 e l'altro 6 più 6 in affido
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Nelle loro due famiglie extralarge sono abituati a imbandire la tavola con una tovaglia lunga: sabato scorso hanno preparato la mensa eucaristica della Cattedrale di Trento, Ettore Barion, 50 anni, di Torbole, operatore turistico sul Lago di Garda e Antonio Caproni, 58 anni, fisioterapista di Mori, che sono stati ordinati diaconi (in tutto ora sono ben trenta i “permanenti” per la Chiesa di San Vigilio) ed ora potranno anche “servire” alle tavole delle loro comunità.

A salire sul presbiterio per la vestizione con la dalmatica hanno voluto le loro mogli e alcuni dei loro ragazzi: Ettore e la moglie Eithne, di origine irlandese, ne hanno sette, ma animano progetti per bambini orfani e malati in Ghana e in Romania (qui si sono conosciuti e hanno accolto cinque fratellini e sorelline in stato di abbandono), mentre Antonio e Sonia, dopo 16 anni in Brasile come missionari laici, hanno sei figli più altri sei in affido, secondo lo stile di don Oreste Benzi che li ha ispirati con la Comunità Papa Giovanni XXIII, a cui appartengono: «La radice del nostro diaconato è nella vita concreta delle nostre famiglie, le nostre mogli ne sono l’asse portante e sono testimoni decisive di questo lento percorso guidato dallo Spirito», ripetono Ettore e Antonio che al termine dell’ordinazione sono stati festeggiati in piazza da tanti amici e parrocchiani di Torbole e Rovereto, dove Antonio ora vive.

Per l’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, questi sposi hanno realizzato la promessa di Isaia e, forti della fiducia nel Signore, sono diventati con le loro famiglie “!uci per le nazioni”: i Barion per i poveri della Romania ed ora anche per gli orfani ammalati del Ghana accolti in case famiglia, i Caproni per i ragazzi abbandonati del Brasile e per quelli profughi arrivati dall’Afghanistan.

Avendo già alle spalle studi biblico-teologici (Ettore era stato da giovane fra i novizi Francescani e Antonio aveva frequentato Scienze Religiose), il loro percorso formativo al diaconato è durato solo tre anni, durante i quali hanno cementato – hanno storie parallele ma molto simili – un’amicizia visibile ed esemplare, una complicità evangelica, che anche l’Arcivescovo di Trento ha indicato nella sua omelia: «Chiesa di Trento, apri gli occhi oggi, guarda questi volti, questi diaconi, le loro spose, i loro figli. Guarda queste storie di salvezza e prendi di nuovo il largo. Perché temi quando al tuo interno hai figli che vivono il Vangelo in questo modo?».

Anche a loro l’arcivescovo ha dedicato la “lettera alla comunità” consegnata ieri (lunedì 26) come tradizione nella festa patronale di San Vigilio sul tema “Lievito e sale”. Un’immagine evangelica che pare riflettere la vita di Ettore e Antonio: le loro storie sono state fermento, hanno fatto lievitare nel silenzio altre disponibilità. Sono ancora in grado non solo di commuovere ma anche di interrogare, perché riportano alla centralità della Parola di Dio che i due diaconi annunciano con la loro vita d’ora in poi in modo ancora più comunitario.

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